Fracking, shale gas, coal ben methane, tight gas: Eni
capofila dell'azione di lobby sull'Ue per promuovere nuovi investimenti su stoccaggio di energia, gas di
scisto cattura e stoccaggio di Co2. Intanto, l'Agenzia internazionale per
l'energia "stima" le riserve mondiali e quelle del Vecchio
Continente. L'analisi dell'autore di "Trivelle d'Italia"
L'ad di Eni, Paolo Scaroni
ha sottoscritto -insieme agli amministratori delegati di altre 7 multinazionali
del gas, Enel, Gasterra, Gdf Suez, Iberdrola, Eni, Rwe, E.On, Gasnatural
Fenosa- un appello
indirizzato il 21 maggio scorso all'Unione europea, auspicando tra le altre
cose “un rafforzamento del quadro politico che porti a investimenti in
tecnologie promettenti, come lo stoccaggio di energia, nuove rinnovabili, la
cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, reti e contatori intelligenti e
il gas di scisto”.
Un
assist raccolto dal premier Enrico
Letta che -intervenendo in Senato lo stesso giorno- ha
auspicato “un atteggiamento aperto e non penalizzante per lo sfruttamento delle
fonti di energia prodotte in Europa come lo shale gas”, come riportato dall'Agi (l'Agenzia
giornalistica italiana controllata dall'Eni dal 1965).
Il giorno dopo, 22 maggio, l'apertura allo
sfruttamento di shale gas sarebbe stato oggetto di discussione anche nel
Consiglio europeo, nel corso di una riunione che ha posto le basi per una
regolamentazione della controversa tecnica del fracking, necessaria per estrarre
gas non convenzionale.
In due giorni,
insomma, il tema caldo sull'asse Eni-Italia-Europa è stato quello dello shale
gas. La presa di posizione del nostro primo ministro sembrerebbe ben ponderata,
perché in Italia -e lontano dai riflettori- le discussioni sull'argomento
esistono, come dimostra uno studio sugli sviluppi nazionali del mercato del gas
pubblicato -a marzo- da Cassa depositi e prestiti, che dedica una significativa
appendice ai giacimenti di gas non convenzionale. Nel rapporto emergono i
motivi principali per i quali negli ultimi anni numerosi Paesi si sono
dimostrati possibilisti nello sfruttamento: da una parte “l’avanzamento
tecnologico dei processi di estrazione del gas sta contribuendo a ridurre in
modo significativo i costi di produzione”; dall'altra, invece, “alla luce
dell’esperienza statunitense è emerso in modo evidente che lo sviluppo del
settore del gas non convenzionale può avere un impatto molto significativo in
termini di sicurezza degli approvvigionamenti energetici e di maggiore
disponibilità di risorse, sia per l’impiego all’interno del territorio
nazionale sia, ove sussistano le condizioni, per l’eventuale esportazione”.
Ancora una volta contenimento dei costi, sicurezza degli approvvigionamenti ed
esportazione. A questo puntano, da sempre, le più grandi compagnie petrolifere
del mondo che oggi vorrebbero mettere le mani, ed in tempi brevissimi, sulle
ingenti riserve mondiali di gas non convenzionale. Per gas non convenzionale si
intende tight gas (gas di sabbie compatte), coal bed methane (metano dagli strati
di carbone) e principalmente shale gas (gas di scisto).
L'Agenzia internazionale dell'energia
ha stimato che -su un “patrimonio” mondiale di 421 mila miliardi di metri cubi-
le riserve di gas non convenzionale ancora da estrarre ammonterebbero a 331
mila miliardi di metri cubi, di cui il 63% di shale gas (208mila miliardi di metri cubi), il 23% di tight gas (76mila miliardi di
metri cubi) e il restante 14% di coal
ben methane (47mila miliardi di metri cubi). Gli Stati Uniti
rappresentano la patria delle risorse tecnicamente estraibili in un lasso di
tempo ristretto, in linea con il loro trend produttivo del 2010, anno in cui il
76% del gas non convenzionale estratto nel mondo ha avuto provenienza
americana. Seguiti da Canada (13%), Cina (2%) e Australia (1%). Il restante 8%
a diffusione sparsa. Per il futuro, oltre all'America del Nord si aprirebbero
le frontiere sudamericane (15% di risorse stimate) ed asiatiche (28% di risorse
stimate). Da questa mappatura compaiono Paesi con risorse stimate, regioni con
risorse potenziali e continenti con potenziale sconosciuto o semi sconosciuto,
come l'Europa.
Il vecchio continente. In Europa
le riserve di gas non convenzionale sarebbero pari a 15mila miliardi di metri
cubi di cui 2mila miliardi stimati solo in Polonia. Oltre 760 miliardi da estrarre
nell'immediato.
I giacimenti polacchi rappresenterebbero una
vera fortuna e l'interesse di Eni e Sorgenia lo dimostrerebbe. Dopo la Polonia lo “spettro dello
shale gas che si aggira per l’Europa” incombe sulla Bulgaria, la Romania, la Norvegia, la Danimarca, il Regno Unito, il Lussemburgo, la Francia, la Svezia, la Germania, l’Ucraina e la Turchia.
Queste ultime due principalmente ricche di coal bed methane. Una distribuzione
importante che ha già innescato una significativa discussione a livello europeo
sull’uso del fracking per
estrarre queste risorse, al quale sono connessi notevoli rischi. Tanto da
indurre la Francia a vietarlo
con una legge nel 2011, così come Bulgaria e Lussemburgo. In Svizzera, Gran
Bretagna, Olanda, Austria e Svezia i progetti sono stati sospesi. In Germania,
Romania, Irlanda, Repubblica Ceca e Danimarca si parla di moratoria. Sotto
accusa il conclamato rischio sismico e la contaminazione delle falde acquifere
da agenti chimici tossici e cancerogeni utilizzati nel processo di
fratturazione idraulica. L’acqua utilizzata per fratturare (quasi 29mila metri
cubi all’anno per ogni singolo pozzo) viene, infatti, addizionata a diverse
sostanze pericolose, tra le quali naftalene,
benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formadeldeide, acido
solforico, tiourea, cloruro di benzile, acido nitrilotriacetico, acrilamide,
ossido di propilene, ossido di etilene, acetaldeide, ftalati, cromo, cobalto,
iodio, zirconio, potassio, lanthanio, rubidio, scandio, iridio, krypton, zinco,
xenon e manganese. “Fino all’80% di questi fluidi iniettati per
la fratturazione idraulica ritorna in superficie come acqua di riflusso. Il
resto rimane nel sottosuolo”.
Come viene
ricordato anche dalla campagna nazionale “No Fracking Italy”, lanciata in
questi giorni, con l’obiettivo di informare, far conoscere, proporre ed avviare
sul tema un percorso critico in grado di coinvolgere territori, cittadini,
associazioni, comitati, movimenti politici, attivisti ed esperti ed arrivare ad
una bozza di legge nazionale contro il fracking, alla richiesta di trasparenza
e pubblicazione dei piani ingegneristici delle compagnie petrolifere, oggi
secretati ed alla definizione, con legge, delle aree marine e terrestri da
tutelare. In Italia come nel resto d’Europa e del Mondo un ruolo importante va
giocato dall’informazione. Senza trasparenza ed informazione sui rischi potremmo
assistere ad una nuova colonizzazione da shale gas, come lo è stata e lo è
dall’estrazione delle fonti fossili convenzionali.
Lo shale gas e il Belpaese. Tra i governi europei attivi nell’opposizione al fracking manca
all’appello il nostro. In Italia, nonostante le rassicurazioni di gran parte
dei geologi l’area indicata come un potenziale bacino di shale gas è la Pianura Padana.
Anche se a priori
non andrebbero escluse altre aree italiane, compresa la Toscana, dove in provincia
di Grosseto, l’estrazione di shale gas è realtà. Un'ipotesi esclusa da Marco Mucciarelli, direttore del
Centro ricerche sismologiche dell’Istituto nazionale di oceanografia e
geofisica sperimentale di Trieste -intervento sulle frequenze di Radio Rai 3 Scienza il 27 maggio-,
che abbiamo raccontato su Altreconomia
e in "Trivelle d’Italia"
esattamente un anno fa: in provincia di Grosseto, infatti, opera la Indipendent Energy
Solutions, una società nata nel 2002 e controllata al 100% dalla Indipendent
Resources Plc, il gruppo titolare del progetto per il deposito sotterraneo per
lo stoccaggio di gas naturale a Rivara, in provincia di Modena. Dal 2009 la Indipendent Energy
Solutions è titolare del permesso di ricerca “Fiume Bruna”, che ricade nella
frazione Ribolla di Roccastrada. Dal 2011 invece gli fu conferito il confinante
permesso di ricerca “Casoni”. Quello del “Fiume Bruna” è un progetto da 60
milioni di euro che fino al 2010 prevedeva l’estrazione di coal bed methane,
ovvero di gas metano dalle rocce di carbone mediante fratturazione idraulica a
bassa pressione. Dopo il 2010 è stato riconvertito a shale gas. È possibile
leggerlo nel Report societario relativo alle attività del 2010. Così come,
nello stesso documento aggiornato al 2011, la società è alla ricerca di “un
socio con competenza specialistica sul gas non convenzionale piuttosto che
continuare queste attività da soli”.
(Fonte)
E' mai possibile che nessun commenti il tuo blog? Sono argomenti interessantissimi e soprattutto non se ne parla molto nei telegiornali. Ma si sa, Internet e' l'INFORMAZIONE e non la contro informazione.
RispondiEliminaComplimenti!
Daniele
Ciao Daniele e grazie per i complimenti. Questo mio blog è nato un po' per scherzo ma poi ho pensato di cominciare a pubblicare qualcosa di utile cercando di reperire in rete notizie, che ai più sfuggono, e di inserirle qui. Niente di eccezionale dunque solo un concentrato di informazioni di cui secondo me se ne parla troppo poco e poi cerco di farle girare con l'ausilio di FB. Buona giornata.
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