Report racconta gli scandali del Turismo e dei Beni Culturali in Italia: tra tristezza e rabbia
Sconforto, rabbia, sdegno, incredulità: sinceramente ho difficoltà a
capire quale di queste emozioni abbia prevalso dopo aver visto la puntata del 5 Maggio di “Report” su Rai 3, dedicata agli scandali nascosti di Turismo e Beni Culturali in Italia.
“Belli da Morire”, si chiama ironicamente il
servizio, che racconta il quadro nero, nerissimo, molto peggiore di
quello che avrei mai osato immaginare, della nostra Italia. E la puntata
durava solo 52 minuti, figurati che cos’altro ci avrebbero raccontato
con qualche ora in più a disposizione.
Ricchi e felici con il Turismo: non doveva essere un’utopia
“Con tutto quello che abbiamo dovremmo essere ricchi e felici, com’è che non riusciamo a metterlo a frutto?” dice l’incipit della bella inchiesta di Stefania Rimini presentata a Report.
Bella domanda. Quella che ci poniamo tutti, da sempre, e della quale purtroppo tutti conosciamo la risposta. Giochi
di potere, interessi privati e politici, soldi mal gestiti, mancanza di
competenze e di cultura, indifferenza da parte dei piani alti:
insomma, i soliti vecchi “giochetti all’italiana”. Che però in questo
caso, stanno costando all’Italia un patrimonio umano, artistico,
culturale, paesaggistico e, non in ultimo, economico, senza precedenti.
- L’Italia è il Paese più cliccato su Google dopo USA e Cina
- 500.000 i posti di lavoro potenziali che si potrebbero creare entro il 2020 secondo il piano del turismo presentato dal ministro Gnudi e attualmente in sospeso
- 30 miliardi di euro gli incassi che dovrebbero derivare dal Turismo sempre secondo il Piano strategico di Gnudi
- Già adesso l’industria turistica dà lavoro a 1 persona su 10
- L’Economia della Cultura vale il 15% della nostra ricchezza e dà lavoro a 1 Italiano su 5
- Ci sono 160 tipologie di Turismo catalogate al mondo e noi ne possediamo 100
È chiaro: si tratta di un settore strategico e in crescita e chissà che numeri potremmo fare se riuscissimo a sfruttare a pieno le potenzialità su cui poggiamo i piedi tutti i giorni.
Il problema, dice Milena Gabanelli, è che a presidiare la nostra principale risorsa c’è stato solo “un Ministro senza portafoglio che al massimo ha portato i cani in spiaggia.”
Non sappiamo venderci, non sappiamo promuoverci
A San Francisco, in aeroporto sono esposte continuamente mostre diverse per intrattenere i visitatori e valorizzare il patrimonio locale. A Roma Fiumicino,
ci sono solo negozi e ristoranti. Ci sarebbe un museo dedicato alle
Navi Romane alle spalle dell’areoporto, ma è un cantiere fermo dal 2002.
E poi ci sono i resti romani di Ostia, un sito archeologico di grande
spessore a 10 minuti di autobus da Fiumicino, ma di cui i turisti non
sanno neanche l’esistenza e non raggiungibile da qui tramite mezzi
pubblici.
L’inchiesta va avanti e traccia, sulla stessa scia, un parallelo tra la Lunigiana in Toscana, terra ricca di borghi medievali, castelli e paesaggi straordinari a pochi km dal mare, e la piccola città di St Paul de Vence vicino alla Costa Azzurra. Se andiamo al Borgo di Nicola, vicino al famoso anfiteatro romano di Luni, si trovano solo porte chiuse, niente negozi, nessun ristorante né hotel, come nella maggior parte dei paesi in questa zona.
A St Paul de Vence ci sono invece alberghi, ristoranti, gallerie
d’arte, musei e mostre in continuazione e il turismo è florido sia in
estate che inverno, eppure la Lunigiana non ha niente da invidiare a
questa terra.
Il problema? “Non ci sappiamo costruire, non ci sappiamo promuovere”, dice Josep Ejarque. St
Paul funziona perché ha saputo vendere un’esperienza turistica, il
fatto che da lì sono passati i maggiori artisti del XXI secolo. E ha
saputo promuoversi. Perché oggi il turista non arriva più. Devi andarlo a
cercare, magari su Internet.
ENIT: una macchina mangia soldi
Il problema, continua la Gabanelli, è che il nostro è un sistema vecchio, dove “Comuni,
Province, Regioni, tutti vogliono essere i primi della classe e
decidere, ma hanno dimenticato un elemento fondamentale: a decidere è il
turista.”
E così, mentre le Regioni buttano via centinaia di migliaia di euro
per cofanetti con foto, dvd e inutili brochure che nessuno vedrà, ci lasciamo sorpassare da Spagna e Francia, che con la metà di quello che spendiamo noi, con il Turismo guadagnano molto di più.
Come non toccare a questo proposito il tasto (dolente) ENIT? L’Ente
del Turismo è descritto niente più che come un’inutile macchina mangia
soldi: “Di 18 milioni di euro a disposizione, 15 milioni sono spesi per il funzionamento.” Inutile citare il caso del portale Italia.it, che tutti conosciamo perfettamente.
L’ENIT ha persino il coraggio di chiedere alle Regioni i loro finanziamenti, ma ormai l’Ente ha perso la sua credibilità e le Regioni preferiscono fare da sole (vedi articolo: Turismo Italia: in bilico tra crescita locale e stagnazione nazionale).
Leggi inadeguate per preservare il paesaggio
Non se la passa meglio il nostro territorio: le normative vigenti per preservare i nostri beni paesaggistici sono inefficaci e spesso dannose. Eppure il paesaggio è uno dei cardini del turismo italiano.
Ad esempio è assolutamente vietato intervenire in alcun modo in aree
naturali protette che sono quello che sono anche grazie alla cura e
all’intervento umano nei secoli. Così molte aree si rovinano vittime dell’incuria, come i terrazzamenti delle Cinque Terre, che ormai incolti e mal tenuti a causa delle imposizioni, sono andati sfaldandosi dando luogo a pericolose frane.
Dall’altro lato, vengono invece concessi allottamenti di terra in zone di altissimo valore paesaggistico, come in Toscana e nelle campagne intorno a Urbino, per antiestetici campi di fotovoltaico solo per ottenere finanziamenti.
Spazi in disuso e giovani pieni di speranze: un matrimonio che non s’ha da fare
“Abbiamo un patrimonio pubblico, inutilizzato, di pregio,
e dei giovani in cerca di lavoro con delle idee per cavarci fuori un
reddito. Cosa fal’amministrazione lungimirante? Se c’è, dice
prego, accomodatevi, un opportunità per voi e anche per me perché così
l’immobile non si degrada. Normalmente però, da a Catania a Milano, per
chi ha spirito d’iniziativa l’ostacolo è sempre lo stesso.”
A chi, munito di spirito di iniziativa, di progetti di valore e
persino di finanziamenti privati, vorrebbe riconvertire gli spazi per
dare vita a imprese, musei e attività che arricchirebbero il territorio, le Istituzioni dicono “no”.
Perché qualcun altro ha bisogno di quegli spazi per i propri uffici, o
semplicemente perché a qualcun altro non va giù che uno spazio pubblico
venga concesso in uso ai privati.
“In Italia” dice giustamente la Gabanelli “vige la Logica del Feudo!”
L’ultimo capitolo: i solidi spariscono e l’UE taglia i fondi all’Italia
Non ci sono soldi, risorse, fondi: questa è la scusa che più
comunemente si adduce in Italia quando si parla di Turismo o Beni
Culturali. Ma non sempre rispecchia il vero.
Ad esempio, l’UE aveva stanziato per la Sicilia 48 milioni di
euro per 210 nuove imprese legate ai Beni Culturali. Eppure di queste
nuove imprese, neanche l’ombra.
Il sipario di Report si chiude sui “grandi gioielli” del turismo italiano,
come le gallerie e i monumenti di Roma, adombrati anch’essi dagli
interessi personali e dai giochi di potere che non lasciano crescere il
Paese. “Per quel che riguarda i grandi gioielli – spiega la Gabanelli – quelli per i quali non servono le idee perché si vendono da soli, come i grandi musei, qui i privati ci sono. Secondo l’Antitrust sono sempre gli stessi a spartirsi in maniera opaca un grandissimo mercato.”
Si tratta sempre delle stesse società, che ottengono ogni volta gli appalti nel silenzio più assoluto, e che poi spesso danno vita a mostre e eventi di scarso valore. Un nome per tutti? Civita,
la società che gestisce i servizi di qualcosa come 76 siti, da Pompei
agli Uffizi alla Reggia di Caserta, il cui presidente onorario è
nientemeno che Gianni Letta, vicepresidente è Bernabò Bocca e presidente
di Civita Servizi è Luigi Abete, ex capo di Confindustria.
Intanto, la Commissione Europea ha proposto di “non finanziare più gli eventi in Italia per lo scarso valore aggiunto.”
(Fonte)
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