I sempre più numerosi italiani che, in quanto capifamiglia o
imprenditori, si sono visti recentemente negare un prestito dalla loro
banca, speriamo saltino a piè pari in questi giorni le pagine di
economia dei giornali
.
A leggerle con cura rischierebbero un travaso di bile.
Gli articoli che costeggiano le quotazioni di Borsa narrano tre vicende
apparentemente slegate tra di loro, ma che hanno un comune
denominatore: in barba al conclamato merito di credito e al forte
incremento delle sofferenze bancarie, le nostre maggiori banche
continuano a finanziare chi ha ampiamente dimostrato di saper unicamente
accumulare debiti su debiti non mettendoci nulla o quasi di tasca sua. E
se trascuriamo l’incompetenza dei nostri banchieri e le loro ambizioni
politiche, l’unica spiegazione che è possibile dare per questo
comportamento è che le nostre banche prestano solo alle società di cui
sono azioniste.
La prima vicenda è quella che vede Banca Intesa e
Unicredit offrire il loro sostegno a Marco Tronchetti Provera nella sua
contesa per mantenere il controllo di Pirelli, società di cui è
attualmente il monarca assoluto (abbinando la carica di Presidente a
quella di Amministratore delegato) pur detenendo meno del 5 per cento
del capitale, grazie al solito gioco di scatole cinesi. Tronchetti
Provera in questi anni non ha certo dato grande esempio delle sue
capacità manageriali, producendo debiti a mezzo di debiti sia con
l’operazione Telecom che con gli immobili di Pirelli Real Estate, ora
Prelios. Nonostante questo, coi suoi 61.000 euro al giorno, continua a
essere uno dei manager più pagati in Italia. Per evitargli la fine degli
esodati, Banca Intesa e Unicredit hanno finanziato in questi giorni
un’Opa di 80 milioni di euro sulla Camfin, la holding di 15 dipendenti
immediatamente a monte di Pirelli, acquisendo quote nelle altre società
della piramide per un investimento complessivo non lontano dai 250
milioni di euro. L’operazione ha portato all’uscita di scena dei
soci antagonisti di Tronchetti Provera, i Malacalza, che hanno venduto le
loro quote. Diabolico soprattutto il perseverare di Banca Intesa che
oggi è disposta a finanziare un oneroso leveraged buyout del gruppo per
tenere Tronchetti Provera in sella, dopo averlo già salvato in occasione
della sua uscita dalla disastrosa operazione in Telecom.
La seconda vicenda è quella del presunto
risanamento … di Risanamento, società immobiliare quotata in Borsa.
Banca Intesa, Unicredit, Banco Popolare, Mps e Bpm, intervenuti per
evitare che la società portasse i libri in tribunale, hanno dapprima
concesso a chi aveva portato la società sull’orlo del fallimento, Luigi
Zunino, il diritto di poter esercitare un’opzione per riprendersi il
controllo di Risanamento. Era stato del resto proprio grazie a Banca
Intesa, Banco Popolare e Unicredit, che Zunino aveva potuto gestire un
impero (coinvolto in diverse vicende giudiziarie) e accumulare debiti
per 3,5 miliardi di euro mettendo di tasca propria e di sua moglie solo
421.000 euro. Oggi addirittura le banche sarebbero disposte a finanziare
un’Opa di Zunino su Risanamento, che gli permetterebbe di riprendere il
controllo della società ancora prima e a costi molto più contenuti che
esercitando l’opzione. È una vicenda che ricorda il rientro vent’anni fa
di un altro discusso immobiliarista, Salvatore Ligresti, alla guida di
Premafin, grazie a un aumento di capitale sostenuto da Mediobanca.
Sappiamo poi com’è andata a finire. Anche in questo caso, dunque, la
storia si ripete. E i precedenti sono tutt’altro che incoraggianti.
La terza vicenda è quella che vede un pool di
banche creditrici (Intesa, Unicredit, Ubi, Bpm e Mediobanca) impegnate a
sostenere l’aumento di capitale di Rcs Media Group, gruppo editoriale
che ha accumulato un miliardo di debiti negli ultimi 10 anni e che era a
un passo dal portare i libri in tribunale. Trattandosi del gruppo che
pubblica il maggiore concorrente di questo giornale, mi astengo da un
giudizio di merito sul piano. C’è comunque una postilla molto eloquente
sul trattamento di favore riservato dalle nostre banche ai soliti noti.
Banca Intesa ha deciso non solo di partecipare all’aumento di capitale
per una quota superiore a quella che le spetta, ma anche di remunerare i
membri del patto di sindacato alla guida di Rcs che le cederanno i loro
diritti di opzione, quando il valore di questi diritti inoptati
dovrebbe tendere rapidamente a zero. Chissà cosa ne pensano gli
azionisti di Intesa di questo regalo.
La ragione per cui le nostre banche si dissanguano per
partecipare a imprese che sono fonti di sicure perdite è che vogliono
rimandare la pulizia dei loro bilanci. Essendo al contempo azioniste e
creditrici di queste società, hanno tutto l’interesse a tenerle in vita.
Quando una banca interviene in un’impresa sia con capitale che con
credito si instaura un conflitto di interessi e una distorsione a favore
di questa impresa. Perché se l’impresa di cui la banca è proprietaria o
ha una quota di minoranza perde, la banca perde due volte. Perde in
termini di sofferenza e perde in termini di mancati dividendi. E quindi
la banca stessa farà di tutto per evitare che ciò accada, concedendo
spesso credito quasi illimitato alle imprese di cui è proprietaria.
Il credit crunch che stiamo vivendo rende questo sistema insostenibile perché
tiene in vita moltiplicatori di debito e impedisce di fornire linfa
vitale a chi oggi potrebbe creare lavoro e valore. Sarebbe bello se il
“decreto del fare” contenesse una semplice norma che vieti al sistema
bancario la partecipazione in società industriali e in servizi di
pubblica utilità e che promuova la cessione di questi crediti incagliati
a chi ha meno conflitti di interesse e, a differenza delle banche, se
ne intende di ristrutturazioni. Bene che il sistema bancario si
specializzi nell’intermediazione finanziaria e nel credito, dato che è
proprio il core business di una banca la concessione di credito. Sono
misure a costo zero per le casse dello Stato che libererebbero risorse
fondamentali per il nostro sistema produttivo. Ma non troviamo alcuna
traccia di queste misure negli 80 provvedimenti varati due giorni fa dal
Consiglio dei ministri.
Ci sono tante cose, come al solito senza priorità, da fare, ma non fermeranno certo il declino.
Mentre il movimento 5Stelle, che ha il merito di avere contribuito a
denunciare i conflitti di interesse che paralizzano il nostro sistema
finanziario, è anch’esso impegnato in una lotta di potere. Al posto
delle parti correlate, si confronta con partiti collegati verso cui
singoli o interi gruppi di parlamentari possono migrare col proprio
seggio e diaria, ma la sostanza non cambia. Di piani industriali per il
rilancio di un progetto e soprattutto di un Paese, di cose da imporre
nell’agenda politica sfruttando il proprio peso parlamentare proprio non
c’è traccia. La lotta per il potere, fine a se stesso, deve essere
tremendamente più avvincente anche per loro.
(Fonte)
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