Finalmente ci sono delle notizie allegre a proposito dell’economia. Un settore sta esplodendo, ed è la fiorente attività dei banchi alimentari.
Il numero delle persone che li utilizza, perché troppo povere per
permettersi il cibo, si è triplicato l’anno scorso, arrivando a 500.000.
Quando Fred Goodwin
[ex direttore generale della Royal Bank of Scotland – n.d.t.] verrà a
sapere che ci sono banche che aumentano così tanto il loro giro
d’affari, lancerà un’offerta di acquisto, sperando di raddoppiare il
prezzo delle azioni prima di farle crollare per poi assegnarsi un premio
di cinque milioni di confezioni di salsa all’aglio.
L’Oxfam
afferma “le modifiche al sistema dei sussidi sono la ragione più comune
del fatto che la gente si rivolge ai banchi alimentari”, ma il
Dipartimento del Lavoro e della Previdenza non è d’accordo e afferma che
il sistema dei sussidi fa sì che “nessuno debba lottare per soddisfare i
propri bisogni fondamentali”. E deve essere vero, fintanto che non si
include il cibo tra i bisogni fondamentali.
In
realtà il fenomeno dimostra quanto fuori controllo sia finito il sistema
dei sussidi, quando così tanti richiedenti lo sprecano in frivolezze
come la roba da mangiare. Chi vive di sussidi dovrà imparare a vivere di
beni che siano meno costosi del cibo, come passeggiate di buon mattino,
senso dell’umorismo o particelle di luce.
Ian Duncan Smith
[segretario di stato britannico per il lavoro e la previdenza – n.d.t.]
potrebbe anche dir loro che lui è proprietario di una casa in stile
Tudor da due milioni di sterline [circa 2.350.000 euro – n.d.t.] e che
parte dei suoi mobili è in circolazione da trecento anni e non ha mai
avuto bisogno di un solo piatto di cibo in tutto quel tempo, il che
dimostra che si può fare.
Il governo sembra anche suggerire che non ci sono rapporti tra le modifiche al sistema dei sussidi e il numero crescente degli utenti dei banchi alimentari. Perciò deve esserci qualche altro motivo. Forse dev’essere quella faccenda dell’episodio del programma River Cottage
in cui Hugh Fearnley-Whittingstall [il conduttore del programma] cena
con un barattolo di zuppa e fagioli stufati e dice: “Tutti gli
ingredienti devono assolutamente provenire da un banco alimentare, in
quanto la vicinanza con la disperazione conferisce loro uno squisito
sapore piccante.”
O
forse lo spiega l’articolo di A.A.Gill su un banco alimentare che dice:
“Si aveva appena il tempo di pulirsi il palato dai più succulenti tranci
di tonno in salamoia, allettanti e tuttavia birichini nelle intenzioni
della loro vaschetta, quando ci si imbatteva nelle virtù davvero
celestiali dello yoghurt alla vaniglia Mueller, servito con la massima
eleganza da un volontario della Oxfam nello scenario angelico di un
parcheggio sul retro della Lidl.”
La
loro popolarità è così tanto cresciuta che il Relatore Speciale dell’ONU
sul Diritto al Cibo ha affermato che il governo “ora li accetta come la
norma, cosa che assolutamente non dovrebbero essere.” Forse è proprio
questo il piano: rendere i banchi alimentari così comune che noi
accettiamo come parte della nostra cultura che molti sono troppo poveri
per permettersi il cibo.
A intervalli di qualche settimana uno dei concorrenti del programma Come Dine with Me
[Vieni a cena da me] dirà: “Come antipasto ci sarà una zuppa di
pomodoro Heinz e poi faremo una piccola pausa di un giorno mentre
aspetto il successivo buono per il banco alimentare e per primo piatto
servirò qualsiasi zuppa avranno domani.” Poi uno degli altri dirà:
“Sbocconcellare una scelta di semi del parco è stato decisamente
insolito, e lo scherzo di spegnere le luci per nasconderci
dall’ufficiale giudiziario è stato così divertente che darò come voto un
otto.”
Tutto
questo ha luogo in un’atmosfera di ostilità nei confronti delle persone
che vivono di sussidi, che si suppone stiano sgraffignando cifre senza
precedenti mentre trascorrono tutto il giorno in casa con le tapparelle
abbassate. Dunque il motivo dell’aumento del numero di coloro che si
rivolgono ai banchi alimentari deve essere da attribuire a un’improvvisa
impennata di pigrizia. Durante l’anno scorso altre 300.000 persone
hanno pensato: “Non sopporto più il fastidio di farmi il panino da solo.
Dunque compilerò una serie di moduli per chiedere un buono per il banco
alimentare, dimostrando il mio basso reddito, farò la coda alla chiesa e
mi prenderò un panino già fatto da un volontario.” E’ la sola
spiegazione. C’è, per esempio, Kenny, la cui storia è stata narrata ieri
su questo giornale. Ha una lesione alla spina dorsale che gli impedisce
di lavorare, e tuttavia si dà da fare a tempo pieno come badante di sua
moglie, ancora più malata. Le modifiche al sistema dei sussidi lo hanno
reso dipendente da un banco alimentare. Vedete, con certa gente è solo
“ricevere, ricevere, ricevere”, non è vero?
Il
racconto ripetuto da molti richiedenti parla non solo di un cambiamento
delle regole, ma anche di un cambiamento dell’atteggiamento. I sussidi
sono periodicamente sospesi, i pagamenti ci mettono di più per arrivare
e, come mi ha detto una donna invalida questa settimana: “Adesso ho il
terrore di qualsiasi lettera arrivi per raccomandata, nel caso sia una
lettera che mi comunica che mi sono stati tagliati i sussidi.”
Presumibilmente qualcosa di simile vale per un altro richiedente, Philip Green,
proprietario di Topshop, la cui moglie risiede a Monaco, risparmiando
così alla famiglia del magnate centinaia di milioni di tasse.
Fortunatamente il governo ha avuto un morso alla coscienza
e per lui ha scelto una strategia diversa. Invece di inviargli una
lettera minacciosa lo ha invitato a essere uno dei propri consulenti: su
come tagliare la spesa pubblica. E deve essere la persona ideale per il
posto, a gironzolare lungo le file ai banchi alimentari dicendo: “Ora
che avete avuto quella margarina, perché non la fate durare di più
mettendone metà su un conto all’estero nelle Isole Cayman? E mettete il
vostro buono a nome di vostra moglie, così potrete avere del latte e una
banana.”
(Fonte)
Fonte originale: The Independent
traduzione di Giuseppe Volpe
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