Le Costituzioni nate dalla
sconfitta delle dittature in Europa sono ormai considerate una palla al
piede dai poteri forti. Loro parlano chiaro mentre l'ipocrisia è il
linguaggio della sconfitta.
La brutta sensazione era nell'aria da un po' di tempo. Poi, come spesso accade, il messaggio arriva brutale ma netto. Un documento della banca d'affari JP Morgan dice chiaro e tondo quello che la classe dominante europea e il suo ceto politico-tecnocratico stanno facendo senza dirlo.
Le Costituzioni approvate in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo dopo la caduta delle dittature militari e fasciste sono ormai un intralcio insopportabile per la tabella di marcia del capitale finanziario nei paesi europei Pigs. Nel linguaggio crudo dei banchieri “l'eccesso di democrazia” rende debole la governabilità e non predispone i sudditi al piegarsi ad una esistenza che non prevede diritti o garanzie. Non solo. Siccome l'austerità farà parte del panorama europeo ancora per un lungo periodo, i paesi aderenti all'Eurozona dovranno anche predisporsi affinchè non sia prevista la “licenza di protestare quando vengono proposte modifiche sgradite allo status quo”.
Un
messaggio e un linguaggio brutale che devono suonare come un allarme
rosso nella testa e nella coscienza di chi vive in condizione subalterna
nei paesi europei, soprattutto nei Pigs.
Due sottolineature ci paiono d'obbligo.
La
prima è che l'offensiva contro “l'eccesso di democrazia” non nasce
oggi. Nasce anch'essa dentro una crisi, quella del '73, che suonò come
l'inizio della grande crisi sistemica che si è manifestata con maggior
durezza negli ultimi cinque anni. A muovere l'assalto fu la prima
riunione della Commissione Trilaterale nel 1974, nata dalle esigenze del
grande capitale multinazionale di dotarsi di un disegno di strategico
di ri-subordinazione complessiva del lavoro e di una iniziativa globale
contro l'esistenza dell'Urss e dei movimenti di liberazione nel terzo
mondo.
La
seconda è che chi vive e agisce nell'Unione Europea deve finalmente
diventare consapevole che un blocco geopolitico ed economico creatosi
intorno ad una unione monetaria è qualcosa di diverso e di peggiore di
un “sovrastato”. Essa non
prevede in alcun passaggio decisivo una procedura democratica. Si
viaggia su dati “oggettivi” e se ne trasformano gli effetti in direttive
che i singoli Stati aderenti – in ogni loro istituzione o istanza – non
possono far altro che applicare. La ricerca del consenso è limitata
all'indispensabile e l'autoritarismo ne conforma ogni relazione con i
settori dissonanti.
Se
questo è vero – e il documento della JP Morgan ce lo esplicita con
chiarezza – i corpi intermedi tra poteri decisionali e consenso come i
partiti, i sindacati etc. diventano baracconi non più indispensabili. I
partiti devono somigliarsi, praticare gli stessi programmi, sostenere i
medesimi concetti, essere intercambiabili e collaborare tra loro ogni
volta che ciò sia necessario. I riti del pluralismo decantati dai dogmi
liberali sono sostituiti da quello della governabilità. Due fazioni di
un partito unico, una sfera politica divisa tra liberali di destra e
liberali di sinistra deve conformare l'unico scenario politico ammesso.
Come si lasciò scappare il “trilateralista” Mario Monti, le ali vanno
dunque soppresse e i sindacati devono adeguarsi ad una funzione di
complicità che consegna al passato anche ogni velleità di concertazione.
Uno
scenario come questo potrebbe apparire come un incubo, ma somiglia
maledettamente alla realtà che ci hanno predisposto davanti occultandola
con l'integrazione europea prima, la governance poi, la competitività
totale oggi. La “politica”, anche quella della sinistra radicale
europea, ha continuato a vivacchiare, ad alimentare le illusioni e
segnalare qui e lì le distorsioni del sistema (vedi ad esempio il
congresso della Linke tedesca) ma rifiutandosi di capire che era “il
sistema” stesso a produrre – o meglio – a riprodurre gli spiriti animali
che lo spingono continuamente a maciullare tutto ciò che nel breve e
brevissimo tempo non gli torna funzionale.
E'
evidente che a fronte di questo non si possa che perseguire una ipotesi
politica di rottura, di sottrazione dalla gabbia dei vincoli europei
che trascinano nel baratro non solo l'economia, i salari, i diritti, le
condizioni di vita di milioni di persone, ma che scuotono sempre più
violentemente anche i residui formali di una epoca democratica nata
dalla sconfitta delle dittature e che avevano promesso che “mai più
sarebbe successo”.
Ma
ora sta accadendo di nuovo e su scala molto più grande. Oggi Carandini
su La Repubblica si chiede come mai a fronte di una disoccupazione di
massa così ampia non ci siano rivolte sociali nell'Europa meridionale. E
si risponde affermando – correttamente – perchè con la globalizzazione
non si riesce più a individuare il responsabile né a trovare nei governi
nazionali le risposte possibili a domande sociali sempre più disperate.
Riteniamo che sia ancora possibile rendere reversibile il processo
prima che si solidifichi in un “regime continentale. Ma occorre essere
chiari su almeno due cose:
a)
Il “nemico” c'è e va nominato pubblicamente, altrimenti nessun
movimento popolare sarà in grado di unificarsi. Sono le banche, le
imprese multinazionali e la struttura politico-economica di cui si sono
dotate attraverso la costituzione dell'Unione Europea. Sono quelli che
possono permettersi di arrivare in un territorio, fare i propri comodi e
poi andarsene verso occasioni migliori di businness lasciando dietro di
sé macerie, disoccupazione, immiserimento.
b)
la dimensione “minima” di un movimento di massa all'altezza di questo
nemico può e deve essere continentale o regionale. Niente di più piccolo
può essere adeguato. Nessuna vertenza o lotta locale che non possieda
questo “spirito europeo contro l'Unione Europea” può andare oltre il
proprio naso.
Fermare la bestia che si agita nel ventre dell'Europa è ancora possibile... ma occorre rompere gli indugi e muoversi in fretta.
(Fonte)
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