In
momenti come questi, il più grande servizio che un intellettuale e un
giurista possono rendere al loro Paese è spiegare cosa sta succedendo. L’altra sera ero a cena con Stefano Rodotà, il candidato e l’uomo limpido che mi onora della sua amicizia.
Eravamo entrambi relatori al Festival della laicità di Reggio Emilia,
con la differenza che lui, ovviamente, teneva la relazione di apertura,
e neppure in questa occasione ha voluto venir meno ai suoi impegni.
Tutto quello che dirò lo penso io, non lui; questo non è uno scoop
giornalistico: con tutto il rispetto che lui e io portiamo per il
giornalismo, noi facciamo un altro mestiere.
A
un certo punto della serata, quando erano ormai arrivate le notizie
della sconfitta di Prodi, impallinato dai franchi tiratori del Pd, e
circolavano le voci delle dimissioni di Bersani e della Bindi,
nel silenzio generale gli ho chiesto, alla presenza di molti amici,
quanto segue. «Stefano, a questo punto la situazione è chiara, il Pd è
imploso e non è più in grado di esprimere alcuna candidatura, può
soltanto scegliere fra candidature altrui. O vota il candidato di Berlusconi,
o vota il candidato di Grillo, cioè te: altrimenti di qui non si esce.
Ora, la domanda è: perché non scelgono te, come farei ovviamente io?
Perché sceglieranno chiunque altro, ma non te? Perché non ti hanno
scelto sin dall’inizio, nonostante tutti gli amici che hai nel Pd?».
Qui, ripeto, non riporterò quello che lui mi ha risposto. La mia opinione, però, ricavata da quello che lui mi ha detto, è che contro la candidatura Rodotà,
che rischiava di essere condivisa anche da molti democratici, siano
scesi in campo poteri forti, anzi fortissimi. Anche questa è una formula
mia, naturalmente: Stefano si esprimerebbe in modo molto meno rozzo.
Ma
la sostanza è questa. Contro di lui, relatore al Festival della laicità
ma soprattutto inflessibile difensore dei diritti delle minoranze, non
ha pesato tanto l’ostilità del primo potere forte, la Chiesa:
oltretevere gli equilibri sono molto cambiati, dopo l’elezione di papa
Francesco, d’ora in poi la Chiesa guarderà meno all’Italia e più al
mondo, e poi se si fosse trattato solo di questo sarebbe stato eletto il
cattolico adulto Prodi, a favore del quale Rodotà era dispostissimo a
rinunciare alla propria candidatura.
Un secondo potere forte che è stato decisivo contro Rodotà è stato il potere economico e
finanziario, che ha bisogno non di riforme ma di stabilità, dei vecchi
equilibri di potere per continuare a fare i propri affari, e che non
sarebbe stato garantito da un giurista di sinistra, difensore dei
diritti dei consumatori, ostile alle privatizzazioni e teorico dei beni
pubblici, ma soprattutto indisponibile a prestarsi ai vecchi giochetti.
Queste sono ancora parole mie, ma non credo che l’amico Stefano possa
mai smentirmi su questo, neppure diplomaticamente.
Infine, c’è un terzo potere forte, che ipotizzo io sulla base di tutto quello che so, prendendomene tutte le responsabilità.
Non ho mai creduto ai complotti, eppure l’impazzimento del nostro sistema politico registratosi
in questi giorni, la decisione di Napolitano di candidarsi dopo aver
sempre detto che non lo avrebbe mai fatto, la stessa ipotesi Amato per
palazzo Chigi hanno una spiegazione ulteriore e molto semplice,
abbastanza nota agli addetti ai lavori. Il terzo potere forte ostile a
Rodotà è la massoneria: non quella deviata, le varie P2 e P3, ma quella
“buona”, cui aderiscono molti insospettabili di tutti i partiti, anche
di sinistra o pretesa tale.
Aggiungo un’ultima cosa per chiarire la mia posizione. Rosy Bindi aveva detto che se Marini era
il Presidente del governissimo con Berlusconi, non era il suo
Presidente. Lo ripeto anch’io per il Presidente Napolitano, che sino a
oggi avevo sempre difeso. Se è il Presidente dei poteri forti, allora
non è il mio Presidente.
(Fonte)
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