Si susseguono le dichiarazioni sullo stato delle istituzioni europee
comunitarie, alcune molto simili a un pentimento. Dire oggi che forse
l’adesione all’euro
è stata troppo frettolosa serve a ben poco, soprattutto se a gestire o
solo suggerire che fare per uscire dalla “precipitazione” siano gli
stessi autori o sostenitori della scelta non meditata. Essi troveranno
sempre motivi per difendere ciò che è stato fatto e quello che si va
facendo “per evitare il peggio”, ma non prendono atto che la china in
cui l’Europa,
e quindi l’Italia, va scivolando con queste scelte non si inverte. Bene
ha fatto Pellegrino Capaldo a ricordare da queste stesse colonne quali
fossero le “regole di ingaggio” dell’Italia all’Unione europea,
invocandone il rispetto. Chi lo ha fatto a tempo debito è stato
emarginato e ha lasciato all’antipolitica il compito non di chiedere il
rispetto dei patti, ma l’uscita disordinata dagli stessi.
Ancora più grave è il silenzio con cui è stata circondata l’analisi
di Giuseppe Guarino sull’illegalità di alcuni provvedimenti comunitari
presi dai capi di Stato
della Ue, ultimo tra essi quello che va sotto il nome oscuro, ma dagli
effetti tragici, di Fiscal Compact. Dire che siamo guidati da uomini
ammantati di potere
democratico a livello nazionale e sovranazionale non cancella la
perdita della natura di Comunità di popoli retta dal diritto e l’essere
ridiventati sudditi di poteri non facilmente individuabili. Le élite
gioiscono per questa evoluzione e al popolo stordito non resta che una
reazione di scomposta protesta che non lo toglie da questo status
inaccettabile.
Il professor Capaldo – che avrebbe ben figurato tra i dieci “saggi”
recentemente nominati dal presidente della Repubblica, almeno per la sua
conoscenza del problema dei problemi, quello del debito pubblico
– ha giustamente sostenuto che «quel che stiamo facendo è sbagliato,
drammaticamente sbagliato» e «che ci stiamo costruendo da soli una
trappola mortale». Ciò accade certamente perché l’Italia ha offerto il
fianco con i suoi errori di governo, ma la trappola è quella dei
meccanismi istituzionali denunciati dal professor Guarino. Non vi è una
realtà da considerare indipendentemente dal diritto nascente dai
trattati europei. Se la tesi di Guarino non viene contestata – e lui aspetta ansioso chi vorrà farlo – non c’è realpolitik che tenga.
Per evitare la trappola mortale occorre riformare l’architettura
europea affinché possa produrre ciò che aveva promesso e stabilito per
trattato. Non è solo l’articolo 126 di cui parla Capaldo, ma anche il
più chiaro ed esaustivo articolo 2 (nonché 3bis e 3ter) del Trattato di
Lisbona, i cui contenuti devono essere rispettati, riportando
nell’ambito della legittimità le scelte fatte e quelle che si faranno.
Altrimenti rimarremo in quella che Giovanni Papini, padre di tutti gli
stili critici, definirebbe «baccanali di lirismo idealista».
Nella mia “Lettera agli amici tedeschi” – amici nei quali ancora
confido e non solo per mera convenzione – ribadisco che abbiamo bisogno
del mercato comune, che richiede l’euro per essere tale, ma che va completato con un assetto giuridico di Stato federale, perché altrimenti non sopravvive. E, semmai
sopravvivesse così com’è, come sta accadendo, sarebbe una trappola
mortale per tutti noi, come giustamente sostiene Capaldo.
Se vogliamo veramente muovere verso una definizione dei compiti
sussidiari dell’Unione, il passo urgente da compiere – urgente da domani
– è la nascita della scuola europea e la scelta della lingua ufficiale.
Sarebbe la cartina da tornasole della volontà di procedere verso un’Europa
unita. Abbiamo bisogno di una costituente che decida subito il da
farsi, ma soprattutto che individui se è possibile fare ciò che deve
essere fatto. Altrimenti, come extrema ratio, non resterebbe altro che
decidere insieme un’uscita ordinata e governata dagli accordi presi,
perché non possono essere ottemperati o perché non lo si vuole. Da parte
nostra, come di altri. Allontaniamo dalla politica gli illusi e coloro che sanno solo proporre di distruggere e non correggere ciò che è stato fatto.
(Fonte)
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