Altro che stop all’Imu, diminuzione delle tasse e cancellazione del punto in più di Iva che scatterà a luglio. Nessuno di questi risultati – puntualmente elencati da chi chiede ai
partiti di “fare in fretta” – potrà essere raggiunto da un eventuale
nuovo esecutivo. Perché la strada economica è stretta e tutta in salita.
Primo scoglio, l’eredità lasciata dal Def, il Documento di Economia e Finanza
presentato dal governo uscente. «Un’amarissima sorpresa», secondo
Stefano Fassina del Pd, perché «il governo Monti lascia manovre da fare
per 1,4 punti percentuali del Pil all’anno a partire dal 2015». Ma dov’è
la sorpresa? Sorretto da Pd e Pdl per tutto il 2012, l’esecuto Monti
non ha fatto che applicare i dettami di Bruxelles, a partire dal
micidiale Fiscal Compact, contro cui centrodestra e centrosinistra non
hanno detto neppure una parola per tutta la durata della campagna
elettorale di febbraio.
Tra i pochissimi nel suo partito a lasciar trapelare qualche “mal di
pancia”, Fassina rileva come l’ultimo “uovo avvelenato” di Monti non
dica nulla sull’assenza
di risorse per il cosiddetto “quadro esigenziale”, cioè le spese non
iscritte a bilancio ma di fatto inevitabili: dalla cassa integrazione in
deroga ai contratti precari in scadenza nelle pubbliche
amministrazioni, dalle missioni militari all’estero alla ricostruzione
delle zone terremotate fino alla manutenzione di strade e ferrovie e al
55% per le ristrutturazioni eco-sostenibili. Tutti interventi «lasciati
scoperti dalla legge di bilancio approvata a dicembre scorso». E
guardacaso, a conferma del “sospetto” di Fassina, il “Corriere della
Sera” parla del rischio di una nuova manovra economica aggiuntiva da 6-8
miliardi di euro, proprio a causa di una serie di spese non rinviabili.
«Una patata bollente – scrive Mauro Maggiolaro sul “Fatto Quotidiano”
– che passerà direttamente nelle mani del prossimo presidente del
consiglio incaricato, con poche o nessuna alternativa, considerati i
vincoli imposti dal Fiscal Compact europeo», che il Parlamento italiano
ha convalidato, col granitico accordo di Pd e Pdl e l’alto patrocinio
del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, grande regista
dell’annus horribilis che ha decretato il definitivo “commissariamento”
della politica
italiana, arresasi senza neppure combattere allo strapotere
tecnocratico della Troika. Davanti all’ipotetico futuro governo, scrive
Maggiolaro, si spalanca così «un percorso a marce forzate che sembra non
ammettere eccezioni e che, allo stato
attuale, per il nostro paese assomiglia molto di più a una valle di
lacrime, dato che la coperta è cortissima, anzi inesistente».
L’atteso sblocco dei 40 miliardi di euro che le pubbliche
amministrazioni devono alle imprese farà aumentare lo stock di debito
per lo stesso ammontare, visto che l’operazione sarà finanziata con
l’emissione di nuovi titoli di Stato. Come conseguenza – a detta del
ministro dell’economia
Vittorio Grilli – il rapporto debito-Pil «aumenterà fino a tre punti
nei prossimi due anni». Il deficit previsto per il 2013 dovrebbe salire
al 2,9% del Pil, contro il 2,4% che si era previsto a politiche
invariate: appena un decimo di punto inferiore alla soglia magica del 3%
prevista da Maastricht, e ora resa più severa dal micidiale Fiscal
Compact. E sull’Italia, aggiunge il “Fatto”, pende anche la procedura di
infrazione per deficit eccessivo avviata dalla Commissione Europea nel
2009. «Uscirne prima di maggio è indispensabile se si vogliono sbloccare
i 40 miliardi per le imprese. Per farlo, il 22 aprile i dati di
Eurostat dovrebbero confermare che il deficit italiano nel 2012 si è fermato al 2,9%, con previsioni di deficit – da parte della Commissione Europea – sotto il 3% per i prossimi due anni».
Se il rapporto deficit-Pil guiderà le scelte di politica economica dei prossimi mesi, il macigno del debito pubblico
rischia di diventare una vera e propria bomba ad orologeria per i
prossimi anni, continua Maggiolaro. Nel 2012, con il debito italiano al
127% del Pil, l’Ecofin aveva chiesto al governo di «riportare il
rapporto debito-Pil su una traiettoria in discesa entro il 2013». Ma
l’impegno – almeno per il 2013 – sarà disatteso, visto che le previsioni
del Tesoro parlano ormai di un 130,4% per l’anno in corso. Su questo
tema, lo stesso Grilli preferisce non esprimersi, osservando – come
riporta la “Reuters” – che «per fortuna» la regola più stringente del
Fiscal Compact riguardo al rapporto debito-Pil scatta “solo” dal 2015:
anno entro il quale, se non intervverranno “rivoluzioni” nella politica finanziaria di Bruxelles, il sistema-Italia già alle corde potrebbe alzare bandiera bianca.
«In un quadro del genere – osserva Maggiolaro – sembra inevitabile
che il prossimo governo si trovi intrappolato in una camicia di forza
con margini di manovra limitatissimi». Il 2013 rischia di trasformarsi
in un nuovo incubo dal punto di vista fiscale: «Dall’aumento di un punto
dell’aliquota ordinaria dell’Iva (dal 21% al 22%), che dovrebbe
scattare a luglio, alla maggiorazione prevista dalla Tares (la nuova
tassa sui rifiuti), che a dicembre potrebbe aggiungersi al saldo
dell’Imu, all’Irpef e all’Ires creando un vero e proprio ingorgo
fiscale». Su Iva e Tares si sono già scagliati gli strali dei partiti,
ma grandi alternative non se ne vedono, a meno che, come ha dichiarato
Grilli, non si trovi la volontà politica
di approvare «una strategia economica di medio periodo» per trovare
nuove risorse. Dall’orizzonte politico di Grilli è ovviamente esclusa la
soluzione più lineare e democratica: aprire una vertenza con Bruxelles
per impedire alla Troika di continuare a spolpare l’Italia.
Se di tagli
si deve parlare, aggiunge Maggiolaro sul “Fatto”, occorre «il coraggio
politico di orientare anche su spese che si stanno dimostrando sempre
più inutili, come il contestato programma per l’acquisto dei
cacciabombardieri F-35 o il progetto Tav», la ridicola e inutile
ferrovia-doppione che devasterebbe la valle di Susa. «Ciò che sembra
però sempre più urgente, se si vuole evitare una catastrofe sociale, è
l’apertura di nuove negoziazioni con l’Unione Europea per permettere
all’Italia di sforare – almeno temporaneamente – le soglie previste per
il deficit pubblico», puntualizza Maggiolaro. «Per farlo sarebbe
necessario un governo stabile, che non parta già azzoppato da veri o
presunti limiti temporali o maggioranze appese al filo dei ricatti
incrociati e sia guidato – nella migliore delle ipotesi – da personalità
riconosciute a livello europeo». Una prospettiva che, all’attuale stato
delle cose, «sembra avere pochissime probabilità di realizzarsi».
(Fonte)
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