domenica 21 aprile 2013

Paolo Cardenà: il decreto sui debiti della PA è sconcertante. Il Governissimo? Un’utopia



Forexinfo intervista Paolo Cardenà, Private Banker dei maggiori Gruppi Bancari italiani, nonché socio cofondatore di una società attiva nella consulenza finanziaria, tributaria, fiscale e gestionale alle imprese.
Il Dottor Cardenà è anche autore del seguitissimo blog "Vincitori e Vinti", all’interno del quale scrive dei più importanti argomenti di natura politico-economica sia a livello nazionale, che internazionale.
Abbiamo chiesto al Dr. Cardenà la sua opinione sull’attuale situazione politico-economica italiana, concentrandoci in particolar modo sullo spinoso tema dei "Debiti della PA". Ecco cosa ci ha risposto.

1) Il 6 aprile il Governo ha approvato il decreto per il pagamento dei debiti della PA. Il DL prevede l’erogazione di 40 miliardi di euro alle imprese entro i prossimi 12 mesi, come giudica questa decisione?
R. Sconcertante, e lo è per definizione. In pratica, abbiamo avuto cognizione che, in Italia, per giungere all’esecuzione di un atto di ordinaria amministrazione quale quello di pagare un fornitore, occorre un provvedimento normativo, per di più corposo. Il provvedimento licenziato dal Governo appare criticabile in molteplici punti, poiché istituisce una procedura complessa e per di più subordinata alla capacità dell’ente debitore di espletare il carico burocratico previsto dalla normativa, senza tuttavia istituire un regime sanzionatorio per gli enti meno performanti nel pagamento dei debiti verso i propri fornitori. Questo, inevitabilmente, stante anche la complessità burocratica prevista dal provvedimento, differirà ulteriormente i tempi di pagamento senza peraltro rimuovere in maniera strutturale le criticità di questo sistema al fine di scongiurare per il futuro il ripetersi di simili circostanze. Inoltre, il provvedimento, oltre a congelare le azioni legali già intraprese dalle varie imprese creditrici nei confronti delle pubbliche amministrazioni, non ospita affatto un vincolo di destinazione delle somme che lo Stato dovrebbe corrispondere ai propri fornitori, tale da impegnare i destinatari di queste risorse al pagamento degli arretrati accumulati nei confronti dei subappaltatori/subfornitori. Questo, evidentemente, avrebbe generato effetti a cascata positivi su tutto il sistema dei fornitori e subfornitori, sia a monte che a valle.

2) Confindustria, che ieri ha denunciato in Parlamento il fatto che le imprese italiane starebbero subendo la terza crisi di liquidità nel giro di pochi anni, ha sostenuto che un’immediata erogazione di 48 miliardi di debiti alle imprese potrebbe innescare un circolo virtuoso che permetterebbe alle suddette di riprendersi nel giro di pochi anni, facendo tra l’altro aumentare il PIL dell’1%. Lei è d’accordo?
R. Ovviamente ci troviamo nel campo delle ipotesi e, non conoscendo su cosa si basano le previsioni elaborate da Confindustria, mi limito a dire che appare fin troppo ottimistica. E ciò per diverse ragioni. In primo luogo va detto che, per effetto della crisi economica e anche dei ritardi della Pubblica Amministrazione, un numero crescente di imprese sta accumulando debiti tributari (chiaramente sanzionati). Quindi è del tutto verosimile attendersi che buona parte di queste risorse debba essere impegnata per adempiere alle obbligazioni tributarie maturate ma non ancora pagate, o debiti scaduti nei confronti del sistema bancario. Tanto è vero che i crediti in sofferenza del sistema bancario sono in progressiva e preoccupante ascesa. Al fine di amplificare i riflessi positivi del decreto - che peraltro non dispone il pagamento immediato delle risorse come auspicato da Confindustria - esso sarebbe dovuto essere integrato anche con una moratoria dei debiti tributari presso Equitalia, magari favorendo la possibilità di ottenere una rateizzazione più lunga delle somme iscritte a ruolo (auspicabilmente a sanzioni ridotte), così che non si sarebbero drenate delle risorse da un sistema già di per se arido. Ma uno degli aspetti più inquietanti del provvedimento risiede proprio nel fatto che, in tema di compensazioni tra debiti tributari e crediti nei confronti della PA, esse siano possibili solo per quei debiti tributari emersi a seguito di accertamento, escludendo le rituali compensazioni per debiti di imposta che maturano nell’ambito dell’ordinaria gestione imprenditoriale. In parole molto semplici, solo per fare un esempio, sarebbe logico attendersi che, se la mia azienda, nell’anno in corso, matura dei debiti tributari nei confronti dello Stato, mi venga riconosciuta la possibilità di compensare questi debiti fino alla concorrenza del credito vantato nei confronti dello Stato. Invece no, la compensazione è consentita solo per i tributi emersi in sede di accertamento tributario. Questo aspetto, a mio avviso, è quello che meglio rappresenta la latente bontà del provvedimento.

3) Secondo molti, tra cui l’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, e la CGIA di Mestre, il credito che le imprese vanterebbero nei confronti della Pubblica Amministrazione supererebbe in realtà i 100 miliardi. Il Governo pagherà mai il resto e se sì, come?
R. Difficile dirlo. Certo che, se lo stock del debito quantificato dalla CGIA dovesse essere confermato, ci troveremmo di fronte a un debito che, in queste condizioni, ammesso che si possa onorare, avrà bisogno di anni prima di essere riassorbito. Ad ogni modo, stante l’impossibilità di poter aumentare il debito pubblico (anche per via del Fiscal Compact che, come noto, imporrà all’Italia una diminuzione del debito di circa 50 miliardi annui, fino a convergere al 60% del PIL), per finanziare i debiti della Pubblica Amministrazione non vedo altra alternativa che quella di riqualificare e tagliare ferocemente la spesa pubblica. Questo consentirebbe sia il progressivo riassorbimento del debito verso parametri fisiologici, sia una diminuzione significativa delle pressione fiscale, idonea, oltre che a calmierare gli effetti recessivi che si produrranno con i tagli di spesa, anche a dare slancio alle imprese, al lavoro, ai consumi, innescando un percorso virtuoso per il ciclo economico, indispensabile per la salvezza dell’Italia e soprattutto degli italiani. Ma suoi tagli della spesa esistono fuochi incrociati e veti da parte di chi ha tutto l’interesse a mantenere un livello di spesa di simili proporzioni, poiché enorme bacino di consensi elettorali e privilegi per buona parte del mondo politico e della casta, che trae linfa vitale proprio da questo sistema che ha portato l’Italia alla rovina. Ma i privilegi, anche quelli acquisiti, sono tali solo se te li puoi permettere. E non mi sembra che sia possibile farlo ancora a lungo. Insomma, il sistema Italia va ripensato profondamente, anche culturalmente.

4) Cambiando argomento, recentemente lei ha scritto anche sulle CAC, le Clausole di Azione Collettiva sui titoli di Stato con scadenza superiore ad un anno, che introducono delle norme coercitive che, de facto, annullano la tradizionale garanzia legislativa che lo Stato offriva in passato a coloro che investivano sul debito pubblico. Cosa pensa di questa decisione contenuta nel MES?
R. Come già avete anticipato nel pormi la domanda, le CACs sono previste dal Trattato di Istituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) che dispone che, tutti i Paesi europei sono obbligati ad applicare le Clausole di Azione Collettiva (CAC) sui propri titoli di debito pubblico di nuova emissione. Le CACs, è bene ricordarlo, sono delle vere e proprie clausole vessatorie previste sui nuovi titoli di Stato di durata superiore a 12 mesi, emessi da ogni Paese europeo aderente all’ESM, con la prima cedola scadente a partire dalla data del 1 gennaio 2013. In pratica, per effetto dell’introduzione di queste clausole, lo Stato, in caso di necessità, può modificare le condizioni dei titoli emessi. Ad esempio, può modificare la data dei pagamenti di cedole e rimborsi, così come può decidere di decurtare il valore di rimborso del titolo o la valuta di pagamento, o quant’altro. Insomma un bel regalino ereditato dal MES, al quale l’Italia partecipa con un capitale sottoscritto di 125 miliardi di euro.
In questi giorni abbiamo visto che molti Italiani hanno sottoscritto la nuova emissione del BTP Italia, il titolo di Stato dedicato ad investitori retail e ai piccoli risparmiatori. La sottoscrizione è andata benissimo, per il Tesoro, al punto che si è conclusa anticipatamente rispetto ai tempi previsti . Un vero successo, si direbbe! Anche grazie alla pubblicità martellante andata in onda a reti unificate con la quale si invitava il risparmiatore ad aderire alla sottoscrizione, poiché investimento sicuro. Sinceramente nutro forti dubbi che i risparmiatori conoscano il significato delle Clausole di Azione Collettiva a cui i titoli che loro hanno sottoscritto sono sottoposti e che chiaramente possono subire le modifiche di cui abbiamo accennato.

5) Un’altra decisione sbagliata, quindi?
R. Sempre a proposito del MES e anche del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, spero che gli italiani si rendano conto delle scelte nefaste prese dal Governo Monti nell’ultimo anno, con il sostegno trasversale del PD e PDL. Nel corso del 2012 lo Stato italiano ha pagato alle varie forme di salvataggio europee la bellezza di 40 miliardi di euro, lo stesso importo che lo stato si prefigge di pagare oggi alle imprese creditrici della PA, dopo mesi e mesi di ritardo asfissiante che ha provocato il fallimento di migliaia e migliaia di imprese Nel versare i 40 miliardi nei vari salvataggi, il Governo lo ha fatto senza alcuno scrupolo, senza alcuna esitazione: neanche quella di chiedersi se sarebbe stato opportuno utilizzare queste risorse, prima per soddisfare i fornitori, le aziende italiane, e poi, eventualmente, gli impegni nefasti presi con l’Europa. Per pagare i soldi al MES che, nel frattempo, sono stati utilizzati anche per salvare le banche spagnole e, conseguentemente, per salvaguardare gli interessi della Germania, lo Stato è ricorso al mercato per farsi prestare i soldi che non aveva. Lo ha fatto riconoscendo un lauto interesse agli investitori e senza porsi nessuno scrupolo sull’impatto che avrebbe avuto sul rapporto debito /PIL o sulla spesa per gli interessi. Scrupoli invece osservati quando si tratta di pagare le imprese italiane. Nessuno lo ha detto, nessun giornale, nessun programma televisivo ne ha parlato quando il Governo Monti, con precisione maniacale, è corso a staccare assegni all’Europa.

6) Poco tempo fa, in sede europea, è stato approvato il Two Pack, un accordo che, insieme al Fiscal Compact e al MES, mira a tenere sotto controllo i bilanci finanziari dei singoli Paesi dell’Unione. A suo parere, è una misura necessaria o solo una forma per incrementare il controllo dell’Eurozona sui sugli Stati nazionali?
R. Il dramma delle euro, o meglio delle popolazioni dell’area mediterranea dell’Europa, risiede proprio nella moneta unica e nei processi che hanno portato alla creazione dell’unione monetaria, che hanno disatteso la teoria economica. Eminenti economisti, fin dagli anni ’60, avevano ammonito circa le tappe che si sarebbero dovute osservare per la creazione di un’area valutaria ottimale; cosa che evidentemente, quella dell’euro, non è. La teoria economica vorrebbe che un’area valutaria ottimale rispetti almeno caratteristiche comuni in termini di flessibilità di prezzi e salari, mobilità interregionale di forza lavoro e capitale, convergenza dei tassi di inflazione, diversificazione produttiva, integrazione fiscale. E’ chiaro che i Paesi che hanno aderito all’euro non avevano e non hanno caratteristiche tali da consentire la creazione di un’area valutaria ottimale comune, idonea a compensare, al proprio interno, gli squilibri economici esistenti, attraverso la mobilità della forza lavoro o attraverso trasferimenti automatici e quant’altro evidentemente necessario per garantirne la stabilità. Ma si è voluto procedere ugualmente in questa direzione nella consapevolezza criminale che le future crisi economiche avrebbero creato le condizioni per favorire una maggiore convergenza verso l’unione. Ecco, in tal senso, il TWO PACK, così come il FISCAL COMPACT, sono strumenti in perfetta sintonia con la visione che si è avuta dell’euro, fin dall’origine. In altre parole, si cerca di riparare ad un errore con altro errore, poiché questi istituti costituiscono i principali strumenti di compressione della sovranità dei singoli Stati, in nome della realizzazione di procedure e di convergenze di politiche fiscali ed economiche dei paesi dell’Eurozona, secondo gli eurocrati, propedeutiche a colmare le divergenze strutturali delle varie economie europee.
7) A livello pratico, in cosa consiste il Two Pack?
R. Il TWO PACK, ad esempio, obbligherà i singoli governi nazionali a presentare alla Commissione Europea, entro il 15 ottobre di ciascun anno e prima dell’approvazione da parte dei singoli parlamenti nazionali, le rispettive manovre di finanza pubblica al fine di consentire di verificare il rispetto degli impegni presi con le autorità europee nei primi sei mesi dell’anno (il così detto semestre europeo). In caso di mancato o carente rispetto degli accordi sottoscritti, la commissione europea potrà chiederne la modifica, seppur in assenza di diritto di veto. Nel caso in cui il paese dovesse disattendere le raccomandazioni, oltre a subire azioni legali, potrà incorrere in procedure per deficit eccessivo e nel caso anche in sanzioni economiche.
Inoltre, sempre la Commissione Europea (organo autoreferenziale privo di qualsiasi investitura democratica) potrà mettere sotto stretta sorveglianza i Paesi “minacciati da difficoltà finanziarie”, obbligando governi a colmare e redimere le cause strutturali, sottoponendo il proprio operato a controlli trimestrali stringenti da parte di una taskforce dedicata. E qui, la mente tende subito ad evocare quanto è accaduto in Grecia in questi 3 anni, ma non solo.
Riassumendo, potremmo agevolmente affermare che il Two Pack costituisce un’ulteriore cessione di pezzi di sovranità nazionale verso strutture non elette ed autoreferenziali, in assenza di qualsiasi criterio solidaristico, di mutualità e senza alcuna contropartita.

8) Finiamo con un focus sull’attuale situazione italiana. Non c’è un Governo, si litiga sul Presidente della Repubblica ed un accordo tra i vari partiti sembra quasi utopico. In molti vorrebbero un “Governissimo”, secondo lei è la soluzione giusta?
R. Le dico subito che sono contrario a questa soluzione. Nel corso degli ultimi decenni, le parti politiche hanno da sempre dimostrato un profonda intollerabilità nei confronti dell’avversario politico. Questa avversità è andata via via ad aumentare fino a creare le condizioni per le quali in Italia si potesse affermare un partito, fondato da un comico, nato dal nulla, ed esploso fino ad arrivare al 25% dei consensi nella prima tornata elettorale politica. Per contro lo stesso Grillo, sia in campagna elettorale che successivamente, ha reiteratamente affermato che non intende scendere a compromessi e sostenere alcun governo a marchio PD, PDL. Pensare che possano governare insieme PD e PDL è semplicemente utopistico, oltre che pericoloso. Bersani, all’indomani del risultato elettorale, si è proposto ai vari partiti con un programma formato di 8 punti, che, in realtà, è un programma di governo di legislatura, o per buona parte di essa.
Ferme restando le divergenze programmatiche sostanziali con il programma del PDL, è chiaro che nessun partito avrebbe sostenuto un governo Bersani con il programma di legislatura proposto. E ciò per il semplice fatto che il centro sinistra non ha vinto le elezioni. Né si può dire che un’alleanza tra PD e PDL, e quindi l’ipotesi un governissimo, sia possibile almeno limitatamente ai punti programmatici comuni perché, se così fosse, significherebbe far nascere un governo sconfitto in partenza poiché ricattabile dai veti incrociati dei due schieramenti che si sono contrapposti e combattuti nell’ultimo ventennio e che finiranno che sfiduciare il governo alla prima occasione utile, o, nella migliore delle ipotesi, a limitarne l’azione riformatrice di governo. Cosa che l’Italia, a parer mio, non può più permettersi.
Contrariamente, se Napolitano avesse affidato a Bersani la possibilità di formare un governo di scopo limitando l’azione del nuovo esecutivo alla riforma della legge elettorale, alla riduzione di costi della politica quindi anche del finanziamento ai partiti, i partiti stessi sarebbero stati messi davvero dinanzi alle proprie responsabilità e la democrazia, magari, avrebbe prevalso e sarebbe stata ossequiata con la formazione di un Governo che avrebbe traghettato in tempi brevi l’Italia a nuove elezioni, con una riforma elettorale idonea a garantire la governabilità del Paese.
Questa soluzione non si è voluta perseguire e, nonostante il fallimento di Bersani, peraltro ampiamente preventivato, sorprende che non sia stata perseguita una strada alternativa magari affidando l’incarico ad una personalità istituzionale con l’intento di assolvere questo compito. Si è preferito nominare i 10 inutili saggi lasciando a Monti la possibilità di occupare un posto non suo per altri lunghissimi mesi, ossequiando i mercati e gli interessi di mezzo mondo, tranne quelli degli italiani.
(Fonte)
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