Bersani piange, Berlusconi ride mentre arriva un rinforzo di celerini
a sprangare il Palazzo e renderlo invisibile alla piazza che si sta
riempiendo di bandiere rosse contro la rielezione dell’ultimo comunista.
Nel paradosso italiano delle parti invertite gli irresponsabili sono
seduti sugli scranni, incravattati e riparati dalle urla, e fuori
s’invoca dignità, coerenza, misura, equilibrio.
Ha una logica l’applauso sguaiato e dispettoso con il quale Matteo
Colaninno al centro dell’emiciclo saluta l’elezione del presidente della
Repubblica a presidente della Repubblica indicando ai Cinquestelle la
sfida vinta? Come se il disastro avesse inghiottito gli altri e non lui,
non loro. Nella larga intesa dell’applauso-sfottò si unisce il pdl
Dambruoso e il pd Vaccaro. Giungono a Montecitorio di mattina e a capo
chino, finalmente simili al catoblepa, l’animale mitologico e
sconosciuto promosso da Fabrizio Barca a metafora della cattiva
politica. Testa all’ingiù per non vedere, forma assoluta e autistica di
reiezione a qualunque sentimento.
Che si fa oggi? Si vota Napolitano. L’ultima scialuppa per contenere i
naufraghi, malgrado il suo voto l’abbia chiesto Berlusconi, malgrado
questo voto sia uno sfregio alla Costituzione. Inanimati, pietrificati,
avanzano per pattuglie i dispersi del Pd. Miguel Gotor, il consigliere
politico di Bersani, riassetta le idee lungo l’argine al quale
confluiscono i fedelissimi oramai disperati e increduli che tutto sia
finito. Anche la loro avventura, e le sfide in tv, la popolarità
acquisita sull’onda del successo elettorale. “Mamma mia”, dice
Alessandra Moretti, la biondina che riempiva le scene dei talk show. Ha
visto la folla e si è impaurita.
Quella folla è il fosso che la separa dalla realtà. E’ l’incubo di un
disastro insieme politico e democratico. Si rivede il volto pallido di
Migliavacca, la pinguedine di Stumpo, il volto fanciullesco di Speranza.
Cognomi che abbiamo imparato in questi ultimi tempi, era l’onda di chi
aveva palazzo Chigi in tasca, è il tortello magico, come i nemici
descrivevano perfidamente la segreteria del Pd, ridotto a pietanza
scaduta, confezione sotto vuoto da cestinare. “Disastro”, dice Corradino
Mineo.
Non si guardano né si sfiorano, appare il partito democratico come
una Repubblica in disuso, consumata dalle vendette. Anche Matteo Renzi,
il giovanotto arrembante, il leader del futuro, fa i conti con la sua
ambizione e con le impronti digitali che ha lasciato sul corpo di Romano
Prodi: “Sei un traditore” gli dicono su Facebook. Del social network
Pippo Civati è animatore indistruttibile. Oggi si arrende alla vergogna:
“Macello”. Un po’ maciullata, è vero, è stata la Costituzione, questo
trapasso orale a monarchia assoluta deciso contro il voto elettorale e
contro le norme. “Alt, sul punto la Carta non vieta nulla”. Sul punto,
dice il leguleio Pino Pisicchio. Non vieta espressamente, ma nella
sostanza nega. Lo confessò lo stesso Napolitano parlando di sbrego e di
situazione comica.
Di comico oggi pare ci sia poco. L’ala destra esulta con discrezione.
Berluysconi è sempre pieno di barzellette e fa esplodere in una risata
ghiotta Crocetta, grande elettore siciliano, della sinistra poetica e un
po’ populista. Verdini appare un giovanotto ganzo: “Visto?”. Persino il
redivivo Sandro Bondi è fuori di sé dalla gioia. Quagliariello riceve i
complimenti per la prossima nomina a ministro, essendo stato uno dei
dieci saggi. Lui entra e Michel Martone, ex giovane e ex tecnico,
viceministro del Lavoro prepara gli scatoloni. “Non c’è da sorridere,
assistiamo con rispetto al loro travaglio”, dice La Russa e c’è da
sorriderne.
Temono che anche oggi il Pd freghi se stesso. E temono tanto
l’eventualità che scrutano i corpi esanimi offrendo uno sguardo di
intesa, un po’ di calore. Non cascassero prima delle cinque, facessero
il loro dovere e poi festa. Loro non sanno, o se sanno non rispondono,
come Paola De Micheli, bersaniana esausta: “Chiede a me di questa
cattiva figura? Chiede a me di questo tracollo? Lo deve dire ai cento
che hanno disertato sul voto a Prodi”. “Ha pensato solo a lui, sempre a
lui. Questa ossessione di un ruolo lo ha condotto nel vicolo cieco della
morte politica. Nessuno ha fiatato e il risultato è qui che si vede.
Poi le bande organizzate hanno fatto il resto”. Riccardo Nencini è
socialista aggregato al centro sinistra. Un po’ fuori per prendersi le
colpe, un po’ dentro per non sentire anche sulle sue spalle il peso del
fallimento. “Abbiamo responsabilità, forse è vero”, ammette anche Paolo
Gentiloni, ideologo del renzismo mutilato. Ma ormai è fatta, è andata
così. Un commesso, gentile: “Onorevole, se non vuole grane quando esce
dalla piazza giri a destra e prenda il vicolo per tornare a casa”.
(Fonte)
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