sabato 27 aprile 2013

E ora il "baffino" si dovrà iscrivere in qualche gruppo di opposizione per poter aspirare a qualche poltroncina tipo COPASIR

L'inciucio è fatto e vuole durare

Altro che "esecutivo di scopo" o "a termine": la squadra di Enrico Letta è frutto di un accordo politico forte tra Pdl, Pd e centristi, con la super benedizione di Napolitano. Evitati gli Schifani e i D'Alema, il neopremier si vanta per "i molti giovani e le molte donne". E alla fine lo voteranno anche i 'malpancisti' democratici, tutti o quasi



 Il governo c'è, non sarà snello ma è a prova di dissidente. 21 i ministri e pochi i nomi indigesti: Letta è riuscito a imporre una squadra altamente digeribile, per i malpancisti di tutti i fronti, ma soprattutto per i democratici più scettici, ora pronti a sostenere il governo Pd-Pdl-Scelta Civica. «Un governo politico, che tale va chiamato», come tiene a specificare il Presidente Napolitano. Domani alle 11,30 ci sarà il giuramento. Lunedi alle 14 si vota la fiducia alla Camera, subito dopo al Senato.
Non ci sono ex ministri dei governi Prodi e Berlusconi, escluso lo stesso Letta e il segretario del Pdl Alfano, che avrà la vicepresidenza e gli Interni. Fabrizio Saccomanni di Bankitalia all'Economia, Cancellieri alla Giustizia, Lupi alle Infrastrutture, Moavero agli affari europei e Delrio (il presidente dell'Anci, Pd) a quelli regionali. Il presidente dell'Istat Giovannini va al Lavoro, il sociologo Carlo Trigilia alla Coesione territoriale. Dario Franceschini curerà i Rapporti con il Parlamento, mentre Giampiero D'Alia la Semplificazione. Flavio Zanonato (Pd, sindaco di Padova) avrà lo Sviluppo economico, Nunzia De Girolamo le politiche agricole e Andrea Orlando l'Ambiente. Cecile Kyenge sarà il ministro dell'Integrazione, Massimo Bray quello della Cultura e Iosefa Idem lo Sport e le Pari opportunità.

Poi, due sono i saggi, Quagliariello (agli Affari costituzionali) e Mauro (alla Difesa) - a cui nessuno osa rimproverare più nulla, mai la matrice Berlusconiana - che confermano che i lapsus di Letta («Ho ricevuto l'incarico dal Presidente del consiglio», ha detto ben due volte, la prima al Quirinale e la seconda durante la consultazione con i 5 stelle), tanto lapsus non erano e che la linea è quella di Napolitano. Ma non solo. L'ultimo via libera, infatti, Letta l'ha avuto da Berlusconi, dopo tre ore di incontro (con anche Letta senior), incassando la spinta decisiva: «Il governo nascerà oggi», ha detto il leader del Pdl alle 14, alle 15 Enrico Letta varcava già la soglia del Quirinale e alle 17, limate le ultime cose con Napolitano, apriva la conferenza stampa del varo.

Ma con quanti voti nascerà il governo? Con molti voti. Il Pdl sarà compatto (e una riunione a palazzo Grazioli, nel pomeriggio, serve a convincere gli ultimi), i montiani pure, fieri del loro bottino. Compresa Adriana Gàlgano, vicecapogruppo alla Camera della pattuglia montiana, che però si rammarica per l'assenza di donne nella quota di competenza: «Avrei visto bene Ilaria Capua (deputata di professione virologa, ndr), Linda Lanzillotta e Ilaria Borletti Buitoni».

E il Pd? Le sezioni continuano ad essere occupate, ma i toni degli #occupyPd (questo lo slogan più usato su twitter) già ieri - quando il governo era già cosa certa - si sono smorzati: «Nessuna scissione, ci riprenderemo il partito», dicono dalla sezione della Bolognina.

Laura Puppato aveva già aperto sentito l'odore di un sottosegretariato al Lavoro. «Lo farei - aveva detto ospite di Un giorno da pecora su Radio2 - ma dipende da quali 'colleghi' del Pdl ci saranno». Oggi nega di essere in pole per un incarico, ma accorda invece la sua fiducia: «Abbiamo fatto nascere un bel governo», dice. Quelli scelti da Letta, sono dunque bei nomi, «soprattutto Bonino e Zanonato». D'altronde a Puppato andava bene anche Violante («Luciano Violante - aveva detto sempre su Radio2 - mi piacerebbe alla Giustizia»), figurarsi Cancellieri.

Corradino Mineo, l'ex direttore di Rainews24, senatore Pd eletto in Sicilia, si dice disponibile: «lo schema non l'apprezzo - precisa sempre, riferendosi alle larghe intese - ma i nomi impresentabili non ci sono ed è anche merito di chi si è opposto». Il suo voto arriverà, dunque, «a patto che si apra un dibattito interno al gruppo, perché dovremmo pur spiegare ai nostri elettori perché facciamo un governo col Pdl».

Il prodiano Sandro Gozi, aveva già posto la sua condizione («Basta che sia un governo che rappresenti l'ingresso in un nuovo ciclo politico», aveva detto mitigando le frasi che lo avevano portato allo scontro con il collega di partito Francesco Boccia) e la conferma: «Mi pare che si chiuda un ciclo ventennale». E se per annunciare la fiducia si prende tempo («Valuterò in base alle priorità che si daranno»), il giudizio lascia ben sperare: «Sono troppi i ministeri chiave in mano al Pdl, ma nel complesso Letta ha fatto un buon lavoro».


 E chi era all'opposizione del governo Monti, la cui maggioranza politica è la stessa (pur con percentuali diverse) del nascente governo Letta? Aniello Formisano, l'unico ex Idv sopravvissuto e ora deputato del Centro Democratico di Tabacci, voterà «senza se e senza ma». «La fiducia d'altronde - ricorda - la votammo anche a Monti». Solo quella, però. Sarà così anche questa volta: «No - assicura Formisano - con questo governo sarà diverso, perché diversa sarà l'attenzione sul sociale e sul lavoro». Formisano è proprio contento di questo governo di larghe intese. Della Bonino, anzi, «contentissimo, perché tutti devono assumersi pezzi di responsabilità».
E il più dissidente dei democratici, Pippo Civati? «E' uno specchietto per le allodole», dice a caldo. «Per me - è l'annuncio - continua ad essere difficile votare la fiducia». Difficile è però anche votare contro, si asterrà? «Vedremo - risponde - certe volte le decisioni si prendono all'ultimo minuto». Per Civati, ovviamente, il problema non sono i nomi in quota Pd («Anche se non sono proprio tutti di sinistra», dice sorridendo): Alfano vicepresidente e ministro degli interni sì.

Sfangate le ipotesi più indigeste, i nomi di D'Alema e Berlusconi, Schifani e Brunetta, Gelmini e Amato, l'impressione è dunque che abbia funzionato alla grande il metodo Vaime. «Alla Rai - è l'aneddoto dell'autore televisivo - c'era un trucco per aggirare la censura»: se volevi far passare qualcosa di politicamente scorretto, per distrarre i controlli, dovevi mettere nel copione una parolaccia e una scena di sesso. Il censore si accaniva su quelle, e il resto passava. A pieni voti.
(Fonte)
Stampa il post

Nessun commento:

Posta un commento