Pd, “Non li voto più neanche io”. Bersani altro che governo, ha perso un partito
ROMA – Franco Marini, alla prima votazione, non ce l’ha fatta. Ed Ignazio Marino,
già stamattina, prima del naufragare di quella candidatura, si era
affrettato a dire: “Io non c’entro niente con la scelta di Marini capo
dello Stato con i voti di Berlusconi”. Esponente del centrosinistra
Marino, ma soprattutto candidato alle prossime elezioni come sindaco di
Roma. Roma, dove si vota il 26 maggio per il sindaco. Roma dove per
prima si abbatterà l’onda del £stavolta non li voto più nemmeno io”.
Un’onda che è insieme alta e lunga, sta andando a sommergere Bersani,
può travolgere il Pd, minaccia Marino candidato sindaco. L’onda l’ha
suscitata Pier Luigi Bersani con l’improvvido, raffazzonato,
naufragato accordo con Berlusconi su Marini Presidente. L’onda non si
fermerà fino a che Bersani sarà la guida e l’immagine del Pd.
Un grido, un rumore di fondo che cresce mica solo sul web,
sta nella mail inviate al Pd, nelle conversazioni e nei commenti
dell’elettorato “alto e basso” di quel partito. La promessa furibonda e
la rassegnata delusione che agita un’ampia fetta dell’elettorato Pd, da
quello occasionale a quello fedele. Elettori contrari, più che contrari
alla scelta fatta da Bersani, alla linea politica da lui scelta e
all’accordo da lui stretto con Silvio Berlusconi, e che
per questo non hanno più intenzione di dargli il loro voto. Come il
voto non lo hanno dato molti, moltissimi grandi elettori del
centrosinistra e del Pd che hanno disobbedito all’input del loro
segretario, impedendo al candidato uscito dall’accordo
Bersani-Berlusconi di raggiungere il quorum dei due terzi necessario per
essere eletti Capo dello Stato.
“Basta, questa volta non li voto più neanche io”. E
va sottolineato quel “neanche io…”. Vuol dire, sottende: neanche io che
l’ho sempre votati, neanche io che gli altri, chiunque siano, non li
voterei mai… “Questa volta non li voto più neanche io…”. È questo il
commento che va per la maggiore all’indomani della scelta fatta da
Bersani. “E se non li voto più nemmeno io che sono un elettore fedele,
va a finire che fanno il botto…”. Marino, il primo che dovrà affrontare
quest’onda di protesta, certamente non sposa la scelta Marini per sue
ragioni politiche, per una sua politica identità che non coincide con
quella dell’ex segretario della Cisl. Ma appare anche giustamente
terrorizzato e consapevole di essere il primo esponente del
centrosinistra a dover affrontare l’elettorato imbufalito. Tra poco più
di un mese, il 26 maggio, si apriranno le urne a Roma, e il rischio che
il Pd paghi caro la gestione Bersani in termini di voti è tutt’altro che
da scartare.
Il “questa volta non li voto più” è infatti un concetto declinato a
tutti i livelli. A partire dalla riunione/votazione dei parlamentari Pd
al teatro Capranica dove, su quasi 500 votanti,
l’opzione Marini, passata a maggioranza, ha ottenuto 222 voti. Oltre 150
quelli che hanno preferito lasciare il teatro prima della votazione,
una trentina gli astenuti e quasi 100 quelli che hanno votato contro. Un
partito più che spaccato, sbriciolato. Una frammentazione che se
possibile ancor di più colpisce quella che sino a ieri era una
coalizione. Nichi Vendola, leader di Sel, appoggia Stefano Rodotà, ex presidente Pds candidato da Beppe Grillo.
I socialisti puntano su Emma Bonino, Bruno Tabacci opta per la scheda
bianca e quelli che erano gli alleati di fine febbraio per “Italia bene
comune”, sono oggi su posizioni contrapposte.
Una quantità di contrari che si sposa anche con la “qualità” di
questi. Non si tratta di franchi tiratori. Big veri e propri dei
democratici si sono detti apertamente contro la scelta voluta da
Bersani. Ignazio Marino appunto, il prossimo candidato sindaco della
Capitale d’Italia, non proprio quello che si può definire un uomo di
secondo piano. Con lui Matteo Renzi, ormai l’arcinemico, la nemesi del segretario democratico, ma anche Debora Serracchiani. Se la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha sposato la candidatura Marini, non univoca è la voce del mondo sindacale e, soprattutto, della società civile.
Se i nomi nobili, se i “no” con firma non bastassero poi, questa
mattina, bastava affacciarsi da Montecitorio per vedere la base stessa
del Pd in piazza a manifestare. A manifestare contro Marini, o meglio
contro la scelta e la convergenza su Marini, e chiedendo a gran voce un
ripensamento. Cartelloni firmati giovani democratici,
rappresentanti di quello che era il popolo viola, giovani militanti del
partito democratico e semplici cittadini, elettori che sarà difficile
convincere a votare ancora per Bersani e soci.
Si disse in passato che “Parigi val bene una messa” ma, è questa la
sensazione che si percepisce tastando il polso del Paese, è che questa volta Bersani abbia superato il limite,
la soglia di tolleranza dei suoi elettori. Vale forse una messa Parigi
ma non certo un matrimonio, un matrimonio col Cavaliere e con la Lega e
benedetto da Monti. Nella ricerca di un candidato condiviso ha finito
Bersani per partorire un candidato condiviso sì, ma dalla destra. Votato
in modo compatto o quasi da Pdl, Lega e montiani, e un candidato tutto
tranne che condiviso dai suo alleati di coalizione e di partito del
centrosinistra. Una scelta, quella del segretario, che è riuscita
nell’impresa tutt’altro che semplice di mettere d’accordo paragrillini e
renziani, ortodossi di partito e nostalgici dell’Ulivo. Contro non
tanto Franco marini ma contro il significato e il senso politico di
questa scelta di Bersani Renzi, Veltroni, D’Alema, Vendola…Come è stato
scritto (Federico Geremicca su La Stampa) contro il passato, il presente
e il futuro di questo partito, il Pd. Tutti uniti, politici e
potenziali elettori del centrosinistra, nel contestare la scelta Marini,
la scelta del candidato sponsorizzato insieme a Berlusconi. Stavolta la
nomenklatura e la gente del partito parlano la stessa lingua.
Per sapere se la scelta fatta da Bersani, per sapere se il mood
“questa volta non lo voto più” si tradurrà in un’emorragia di voti
popolari occorrerà aspettare poco più di un mese, quando si sceglierà il
prossimo sindaco di Roma. Per vedere che la scelta del segretario ha
spaccato il Pd, e per certificare che con questa mossa ha perso già dei
voti, quelli di molti “suoi” parlamentari, invece basta guardare i
numeri usciti dalla votazione di questa mattina. Il Pd ha votato in
ordine sparso, poi ha deciso di ripiegare verso una scheda bianca di
resa fino alla quarta votazione. Bersani…Bersani che doveva conquistare
un governo e che ha perso un partito.
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