In Campidoglio non è stato approvato il regolamento sull'assegnazione dei beni confiscati. Mai discussa una delibera delle opposizioni: niente osservatorio, né delegato contro le cosche. E sugli immobili nessuna trasparenza e scelte discutibili
Esistono palazzi, terreni e immobili che raccontano la storia di una Roma criminale. Il volto di una Capitale che si credeva immune dalla presenza mafiosa, ma che negli anni è diventata terreno fertile per Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e malavita organizzata. Beni confiscati alle mafie, che dovrebbero essere riassegnati attraverso bandi pubblici, con la massima trasparenza, possibilmente attraverso l’adozione di un Regolamento e un registro accessibile a tutti che permetta ai cittadini di venirne a conoscenza. Proprio come avviene in altri comuni italiani: si pensi alla svolta di Milano con Giuliano Pisapia, che ha stipulato un patto con l’associazione Libera, approvato nuove linee di indirizzo e sul sito istituzionale mostra un elenco aggiornato. Una lista dei beni è pubblicata anche a Napoli, mentre regolamenti sono previsti anche a Palermo (seppur criticato) e in comuni più piccoli, come Cinisi, Termini Imerese, Palmi e Mesagne, per fare qualche esempio. A Roma,
invece, nulla di tutto questo: nella Capitale, secondo una ricerca
della fine del 2011, condotta da Libera, Asud, Avviso Pubblico e altre
associazioni, soltanto il 27,3 per cento dei beni confiscati nel comune
di Roma risulta effettivamente assegnato per il riutilizzo sociale o istituzionale, come prevede la legge. Manca poi un regolamento, perché quello licenziato dalla giunta Alemanno non è mai stato approvato
in Campidoglio, nonostante sia stato stabilito da un decreto
legislativo del 2011. Ventitre articoli che dovevano quantomeno rendere
più rapide e trasparenti le assegnazioni, ma tutto è stato da tempo
dimenticato.
TRA ASSEGNAZIONI E PERPLESSITA’ – Il Comune di Roma è
proprietario di una sessantina di beni confiscati, ma ombre emergono in
diverse assegnazioni. In particolare, alcune fatte dalla giunta Alemanno
siano state criticate in passato, perché rivolte a personaggi e
obiettivi che non rispondono a quelli previsti dalla normativa. Come nel
caso di Podgora, destinataria di un bene confiscato nel centro
della città: un’associazione di carabinieri ufficialmente senza scopo di
lucro ma che gestisce – senza gara – i distributori di caffè e
brioches nelle caserme romane (ci sono state diverse interrogazioni parlamentari, ndr). E che fa capo al consigliere “pdellino” Giuseppe La Fortuna. Perplessità anche per il bene assegnato all’associazione Andromeda: si occupa di cultura della legalità, ma nelle sue pubblicazioni non mancano riferimenti politici, riconducibili all’onorevole Filippo Ascierto
(sempre del Pdl: qualcuno lo ricorda per perché voleva “catturare uno a
uno” i contestatori del G8 di Genova) e all’universo del centrodestra.
Ma non solo: tra i cassetti di Alemanno è rimasta per più di due anni una delibera del consigliere Paolo Masini (Pd) – con il quale si chiedevano l’istituzione del regolamento, la creazione di un delegato antimafia e l’adesione ad Avviso Pubblico. Nonostante fosse per legge obbligatorio presentarla entro sessanta giorni, non è mai stata discussa.
E poi ci sono altri beni che non rispondono proprio alle esigenze di
riutilizzo sociale, senza scopi di lucro: come nel caso del bene
assegnato alla cooperativa Sol.co, alla Giustiniana, diventato con
l’associazione “Città del Sole” una casa per anziani con tanto di
richiesta di rette. Poi c’è l’Unione Rugby Capitolina che gioca in un
terreno che una volta faceva parte delle proprietà di Enrico Nicoletti,
il cassiere della Banda della Magliana. Ma nel centro c’è anche una
struttura privata di fisioterapia, la Isokinetic. Poi ci sono diversi
beni assegnati per finalità sociali che restano invece vuoti e inutilizzati.
Come gli stabili di via Barbana, Boccea e Ponzio Cominio, assegnati un
pio di anni fa al Dipartimento Cultura per il progetto “Casa dei Teatri e della Drammaturgia Contemporanea”.
Ma in questi stabili ancora nessun progetto teatrale è stato fatto:
sono chiusi da tempo, come rivelano alcuni residenti. “Non vediamo
nessuno da almeno due anni”, confermano in via Barbana. Fino a poco
tempo fa, nella saracinesca era stata pitturata la scritta: “Locale
confiscato alla mafia: prossima apertura”. Ma è rimasto soltanto un
annuncio ed è scomparsa anche quello. A Ponzio Cominio stesse serrande
abbassate: nessuno sa nulla. “Ci stiamo attivando anche per quei locali,
ma ci vuole tempo”, riferiscono dal Dipartimento. Anche la sala giochi
di via Cesare Maccari, a San Giorgio in Acilia – dove nel 2009 fu ucciso
il boss della Banda della Magliana Emidio Salomone – è chiusa da anni.
“Prima era in uno stato di abbandono, era diventata una specie di
discarica”, spiegano i vicini, prima di un piccolo intervento di
pulizia. Seppur assegnato all’Anffas Ostia (l’Associazione nazionale
delle famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale),
il bene è rimasto abbandonato.
ROMA CRIMINALE E I BENI CONFISCATI – Tutto mentre a Roma la
presenza mafiosa sta diventando opprimente. Secondo un recente rapporto
della stessa Libera sono ben 46 i clan che operano nell’area: per
fermare Cosa Nostra e la sua espansione ci sono stati uomini, come Pio La Torre, che
hanno pagato con la vita il loro impegno antimafia. Fu il segretario
del Pci siciliano il primo, con Rognoni, a definire per legge
l’associazione a delinquere di stampo mafioso, con l’introduzione del
416-bis del Codice Penale. Ma soprattutto ad avere un’intuizione
geniale: per colpire le mafie era necessario aggredire gli ingenti patrimoni accumulati in modo illegale, attraverso il sequestro e la confisca dei beni. Una normativa approvata soltanto dopo il suo assassinio, avvenuto il 30 aprile 1982:
la sua Fiat 131 venne colpita da raffiche di proiettili, con mandanti
Riina e Provenzano. Si è dovuto aspettare fino al 1996 affinché, sulla
spinta del milione di firme raccolte da Libera, si disponesse la restituzione alla collettività dei beni confiscati alle mafie, attraverso il loro riutilizzo sociale. Amministrati a partire dal 2010 dall’ANSBC
(l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ndr), tocca in
gran parte ai Comuni decidere per il loro affidamento. Un processo che
dovrebbe avvenire però con la massima trasparenza possibile: anche
perché – come sostiene Marco Genovese di Libera Roma, il
riutilizzo sociale “rappresenta uno strumento fondamentale per stimolare
la partecipazione democratica”. “Restituire il maltolto”, secondo lo
slogan storico dell’associazione di Don Ciotti. Negli ultimi anni il
comune di Roma ha visto passare per le proprie mani beni immobili per il
valore di 52 milioni di euro. A Roma sono stati confiscate “225
particelle catastali”, come ci spiega Genovese di Libera. Eppure manca
una certa consapevolezza di quanti e quali siano i beni sequestrati,
anche per i ritardi e le strane “dimenticanze” della giunta Alemanno.
Come quella sul regolamento, che renderebbe tutto molto più
trasparente. “Spesso non si sa come avvengano le assegnazioni, proprio
perché non ci sono regole definite e processi trasparenti”, continua.
Eppure, Genovese ricorda come non sono mancate le esperienze positive.
Si pensi alla stessa sede di Libera, primo storico immobile riassegnato
alla collettività nella Capitale. Si trova in via IV Novembre, a pochi
passi dal Palazzo della Provincia: una volta apparteneva al boss della
camorra Michele Zaza, ma oggi è diventato un punto di riferimento per le
battaglie antimafia, grazie alla presenza dei volontari
dell’associazione di Don Ciotti. Ma diversi altri locali sono stati
assegnati a Roma ad associazioni, cooperative e giovani, da quando fu
approvata la legge sul riutilizzo sociale: come per la Casa del Jazz,
una vecchia villa del valore di 10 milioni di euro, sempre di proprietà
di Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana. Ma resta
il fatto che mancano regole trasparenti. Nel 2011, nel dossier di Libera
si leggeva:
“I numeri parlano chiaro: Roma, con 383 beni, è la settima provincia in Italia per beni confiscati alle mafie, tra immobili e aziende. E il Lazio, nella stessa classifica, con 482 immobili e aziende sottratte alle mafie, è la sesta regione. Eppure, tranne qualche caso isolato, di questo patrimonio si sa poco o nulla. Dove sono gli immobili, in quali condizioni di trovano, se e come sono effettivamente utilizzati secondo le finalità di legge, quali beni sono eventualmente disponibili e come vengono assegnati”
LE COLPE DELLA GIUNTA ALEMANNO - Oggi è cambiato
poco o nulla. Eppure, la giunta Alemanno aveva l’occasione per voltare
pagina. Ma per il consigliere del Pd Paolo Masini “nel corso del mandato
più volte ha dato quasi l’impressione di non voler dare troppo fastidio
alla malavita”. Intervistato da noi di Giornalettismo, lancia le
sue accuse contro il sindaco Gianni Alemanno: “Dal 28 ottobre 2010 come
opposizioni abbiamo presentato una delibera – del quale Masini era
primo firmatario, occupandosi da tempo dei temi della legalità – che
non è mai stata discussa, nonostante fosse obbligatorio, entro 60
giorni. I nostri appelli, continui, non sono serviti”, sottolinea.
Eppure, il testo, appoggiato da 18 consiglieri di minoranza (Pd, Api,
“Civica per Rutelli”, Gruppo misto, Udc e Action) era stato apprezzato
anche da due consiglieri di maggioranza, tra cui il pdellino Andrea De
Priamo. Masini ricorda: “Fu presentato due anni e mezzo fa, quando
Alemanno continuava a negare che la mafia fosse un problema anche nella
nostra città, prima di doversi arrendere all’evidenza”. Ma cosa
prevedeva la delibera? C’era l’adesione ad Avviso Pubblico,
l’associazione degli enti locali contro le mafie: “Una realtà di
carattere nazionale, bipartisan”, spiega. Ma non solo: “Prevedeva la creazione di un delegato antimafia e di un osservatorio permanente contro le mafie, oltre alla pubblicazione dei beni confiscati
nel nostro territorio e alla definizione di norme più trasparenti per
la loro assegnazione”, aggiunge. Per Masini quello di Alemanno è stato
uno schiaffo alla memoria di Pio La Torre, del quale ricorre il 30
aprile il trentunesimo anniversario dell’omicidio di stampo mafioso.
“Con questa giunta c’è stato un netto arretramento nelle politiche
antimafia. Sono stati assegnati pochi beni: tra questi non pochi hanno
lasciato perplessi, come nel caso di Podgora”, attacca.
GRATTACAPI – Masini cita anche due vecchie vicende che causarono qualche imbarazzo al sindaco Alemanno: come la “cena elettorale” al cafè de Paris (a sua volta un’azienda poi confiscata al clan Alvaro), organizzata dall’amico Franco Morelli
– poi scaricato dal sindaco – consigliere regionale calabrese del Pdl,
nell’aprile 2008. C’erano 300 persone, ma tra queste anche l’esponente
della ‘ndrangheta Giulio Lampada. Sia Lampada che Morelli sono poi finiti in manette, mentre Alemanno fu chiamato a testimoniare
dai giudici di Milano, ai quali spiegò si fosse trattato di un incontro
come tanti altri, per cercare voti. Il gip Giuseppe Gennari,
nell’ordinanza di custodia cautelare, sottolineò come l’attuale sindaco
di Roma “non avesse idea di chi fossero in realtà i Lampada”. Ma era una
questione comunque ininfluente, in quanto “il gruppo mafioso riusciva
comunque ad accedere determinate relazioni personali di favori”, si
legge. Morelli è stato condannato
a 8 anni e 4 mesi per concorso esterno, lo scorso 4 febbraio, mentre a
16 anni è stato condannato Giulio Lampada. Alemanno fu anche accusato
per essersi avvalso come consulente di Giorgio Magliocca, esponente del Pdl (ex An) ed ex sindaco di Pignataro Maggiore (in provincia di Caserta). Arrestato e accusato di concorso esterno e omissione di atti d’ufficio con l’aggravante camorristica, Magliocca è stato prosciolto
dalle accuse di aver favorito i boss delle famiglie camorristiche
Lubrano e Ligato dal Gup di Napoli, nel 2012, con rito abbreviato.
Escluso dalle liste del Pdl perché ritenuto tra gli “impresentabili” –
Magliocca si è difeso parlando di problemi tecnici sulla documentazione, ndr – , l’ex consulente di Alemanno è però atteso dal verdetto di Appello, dato che il giudice Giovanni Conzo
ha fatto ricorso contro la sentenza di primo grado. Il processo è
ripartito a fine marzo: secondo il giornalista Enzo Palmesano, che si è
dichiarato parte civile, il giudizio potrebbe essere ribaltato:
“Ci sono tutte le condizioni – ha aggiunto Enzo Palmesano – perché la sentenza di primo grado venga ribaltata dalla Corte d’Appello. Non vi sono lacune nella complessa e completa prospettazione accusatoria della Direzione distrettuale antimafia; granitiche le prove a carico di Giorgio Magliocca”
Ma di cosa si occupava a Roma Giorgio Magliocca? Proprio di beni
confiscati, essendo stato chiamato come “esperto di mafia” da Alemanno,
prima che esplodesse il caso.
IMMOBILISMO E SEGNALI PREOCCUPANTI- Per Masini, in
generale, c’è stato un immobilismo della amministrazione comunale di
centrodestra nelle politiche antimafia: “Ho scritto anche al Prefetto
per sollecitare la discussione della delibera, ma non è stata mandata
nemmeno nelle commissioni”, rivela. A poche settimane dalle elezioni,
ricorda come, nonostante non fosse stata discussa la delibera, la giunta
avesse previsto un regolamento definito “dignitoso”: “Una
delibera del Dipartimento patrimonio del Comune di Roma che tentava di
regolamentare in modo più trasparente la questione dei beni confiscati.
Peccato che è rimasta soltanto un’intenzione, dato che è passata in
giunta, ma non c’è mai stato il passaggio definitivo in Consiglio
comunale”, ha rivelato. Nulla da fare, quindi, per le attese nuove
regole. “E’ stato uno specchietto per le allodole, per far uscire
qualche articolo con scritto che Alemanno combatteva la mafia: ma alla
fine non è cambiato nulla”, attacca ancora Masini, spiegando come il
sindaco “abbia avuto rapporti non troppo limpidi con parecchi personaggi
romani”. Un giudizio pesante: “A volte c’è venuto il sospetto che ci
fosse una regia dietro il tentativo di non lavorare in una certa
riedizione”. Come nella mancata volontà di aderire ad Avviso pubblico:
“Cosa che hanno fatto ben 380 comuni italiani e altri enti, compresa la
stessa provincia di Roma”, spiega. Un’adesione che precisa, costa 1500
euro. Una banalità per le casse comunali. Ma non solo: Alemanno si è
anche rifiutato di seguire l’esempio di Pisapia a Milano, che sta
organizzando corsi per dirigenti sulla lotta alla malavita: “Spesso
dietro il cambio di una destinazione d’uso o dietro le ristrutturazioni
si nasconde la malavita. E non dimentichiamo come l’amministrazione si
sia espressa in modo contrario sulle nostre delibere e atti su sale
giochi e compro oro”, aggiunge.
FUTURO – Sui problemi dell’assegnazione dei beni
confiscati, spesso vuoti, inutilizzati o non assegnati, spiega: “Bisogna
lavorare insieme all’Agenzia nazionale, perché manca un iter certo. E
rifiutare l’idea ventilata in passato da Berlusconi per cui i locali
possano essere messi in vendita, per evitare che tornino nelle mani
della malavita”. Nell’ultima legge di Stabilità del governo Monti è stata prevista, invece, la possibilità di vendere beni mobili
sequestrati dallo Stato alle organizzazioni criminali, se se gli stessi
non possono essere amministrati senza pericolo di deterioramento o con
rilevante dispendio economico. “C’è un mondo associativo che ci chiede
di fare in fretta e assegnare i beni in modo trasparente, anche Amnesty
cerca una sede”, spiega Masini, aggiungendo come altri possano essere
dati per emergenze abitative. E voltare pagina rispetto all’esperienza
della giunta Alemanno.
(Fonte)
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