venerdì 19 luglio 2013

I kazaki al Viminale anche dopo il blitz Così hanno teleguidato gli uomini di Alfano

Spunta una seconda visita per pretendere la nuova perquisizione della villa. I diplomatici di Nazarbaev anche nella sede operativa della Ps di Roma per gestire le ricerche. E c'è il giallo del dossier Interpol su Ablyazov. L'ambasciatore ottenne anche l'utilizzo di un apparato hi-tech per individuare cunicoli  sotterranei a Casal Palocco




Nell'affaire Ablyazov, la mano dei kazaki non è soltanto "onnipresente". È sapiente. È politicamente ispirata. Per questo padrona. E ora se ne ha una nuova solare evidenza.

Anche questa omessa, come quelle sin qui documentate da "Repubblica", dalle parole e dai ricordi del ministro dell'Interno Angelino Alfano. La mattina del 29 maggio, nelle ore successive al blitz di Casal Palocco, l'ambasciatore kazako, dopo averlo fatto la sera del 28, tornò ad accamparsi al Viminale nell'ufficio di Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministro, da cui pretese e ottenne una seconda perquisizione nella villa con l'impiego di un sofisticatissimo apparato geotermico per l'individuazione di cunicoli sotterranei in cui il "pericoloso latitante" avrebbe potuto nascondersi. Un'enormità, documentata nelle oltre cento pagine di allegati alla relazione del Capo della Polizia Alessandro Pansa (li pubblichiamo sul sito di "Repubblica"), che rende ancora più inverosimile di quanto non sia suonata sin qui la circostanza che, a blitz avvenuto, discutendo il da farsi con i kazaki, nessuno al Viminale sapesse che, in quella casa, erano state fermate una donna e la sua bimba di sei anni.

TUTTE LE CARTE DELL'INCHIESTA


LA SECONDA VOLTA DA ALFANO
La "seconda volta" kazaka al Viminale ha tratti, se possibile, ancor più "padronali" e umilianti della prima. Ha soprattutto implicazioni decisive nel rintracciare le impronte digitali di Angelino Alfano in questa faccenda e nel misurare il suo grado di consapevolezza. Non a caso, pur essendo documentata negli allegati, questa "seconda volta" non è menzionata nella cronologia dei fatti della relazione del Capo della Polizia propinata al Senato e all'opinione pubblica martedì scorso.

Ma vediamo cosa accade, dunque. Nel verbale del suo interrogatorio al Capo della Polizia (che pubblichiamo in queste pagine), il prefetto Alessandro Valeri non nasconde il fastidio e la sorpresa nello scoprire, la mattina del 29 maggio, che l'ennesima convocazione nell'ufficio del capo di gabinetto di Alfano ha quale unico motivo gli stessi ingombranti ospiti della sera prima (il 28), quando, sempre in quell'ufficio, è stata definita operativamente la cattura di Ablyazov. Seduto in poltrona, l'ambasciatore kazako, neanche fosse il capo della polizia, non è affatto contento che, nella notte appena trascorsa, il latitante non sia stato trovato in via di Casal Palocco 3 e pretende che la polizia torni a quell'indirizzo e cerchi meglio. Come si fa con gli studenti svogliati. E, appunto, lo fa di persona. Non al bar, ma in un ufficio che dista solo pochi passi da quello del ministro Alfano.

Ora, sembra di vederle le facce di gomma di Procaccini e Valeri, prefetti di prima classe della Repubblica Italiana che hanno giurato sulla Costituzione, annuire ai capricci del diplomatico dell'ex Repubblica Sovietica dal passe-partout formidabile: l'imprimatur e la benevolenza di Alfano. E, ancora sempre quella mattina, sembra di sentire anche quel "a disposizione" che Gaetano Chiusolo, capo della Direzione Centrale Anticrimine, la struttura di eccellenza della nostra lotta al crimine organizzato, pronuncia nel prendere la telefonata dell'ambasciatore kazako, cui Valeri ha consigliato di rivolgersi per concordare la nuova perquisizione nella villa di Casal Palocco.

Soprattutto, sembra incredibile che in tutto questo chiacchiericcio sull'esito del blitz del 28 notte e sulla necessità di approfondimenti, a pochi passi dall'ufficio di Alfano, nessuno si lasci sfuggire di fronte al capo di gabinetto che, tra l'altro, sono state fermate una donna e una bimba di sei anni, ragionevolmente moglie e figlia del "pericoloso latitante".

KAZAKI A CINECITTÀ
Ma non è finita. Purtroppo. Quella mattina del 29, dopo la tirata di orecchi nell'ufficio di Procaccini, e la telefonata con Chiusolo, l'ambasciatore kazako pensa bene, per trattare con il meglio dei nostri apparati investigativi, di spedire a Cinecittà, nei palazzi di vetro e acciaio che ospitano le direzioni centrali operative della nostra Polizia, il suo spiccia faccende. È Nurlan Khassen. Un tipo che ormai conosciamo, perché, due giorni dopo, il 31 maggio, sarà sulla pista dell'aeroporto di Ciampino da dove la Shalabayeva sta per essere rimpatriata mentre, a bordo pista, sventola sotto il naso dell'allibita assistente capo della polizia Laura Scipioni il biglietto da visita di Procaccini, brandendo un cellulare da cui prova a chiamarlo cinque diverse volte.

Khassen, dunque. Chiusolo lo riceve facendo gli onori di casa e lo sbologna a Maria Luisa Pellizzari, capo del Servizio Centrale Operativo. Che non dimenticherà facilmente l'incontro. Anche perché tiene a spiegare con orgoglio al sottopancia kazako che, di mestiere, il suo "Ufficio è competente per le investigazioni". Ebbene, ricorda a verbale la Pellizzari: "Khassen insisteva sulla presenza del latitante kazako nella villa. Coinvolgevo dunque il responsabile della II divisione del mio Servizio e assicuravo il diplomatico che sarebbero stati fatti dalla Mobile di Roma tutti gli approfondimenti necessari". Che hanno un costo. La Questura pretende che per questa seconda perquisizione che ritiene inutile (e che sarà eseguita la mattina del 31 maggio), la Direzione Centrale della Polizia scientifica metta a disposizione un sofisticato rilevatore geotermico per l'individuazione di cunicoli sotterranei. Che, naturalmente, non esistono.

LA DANZA "INTERPOL"
È evidente che l'ambasciatore Adrian Yelemessov sa perfettamente quali bottoni premere per governare docilmente il pachiderma dei nostri apparati. Di cui per altro conosce l'ossequio all'autorità politica e, soprattutto, l'ossessione per le "carte a posto". Ma la sua "sapienza informata" ha una cartina di tornasole decisiva. Nei giorni scorsi, "Repubblica" ha dato conto della singolare circostanza per cui, la mattina del 28 maggio - giorno in cui l'ambasciata kazaka si impadronisce di Viminale, Dipartimento di Pubblica sicurezza e Questura di Roma - l'ufficio Interpol di Astana si attiva improvvisamente per le ricerche di Ablyazov. Ebbene, nella relazione di servizio consegnata al Capo della Polizia, Gennaro Capoluongo, funzionario della sala operativa della Criminalpol (la struttura di Polizia cui fa capo la sezione italiana dell'Interpol), svela un dettaglio chiave. "Dalla data di inserimento nella banca dati del nome di Mukthar Ablyazov, non risultava esserci stato alcun seguito sul territorio sul soggetto". Ablyazov, insomma, è una pratica in sonno. E per svegliarla, appunto, per far fibrillare la Questura e "avere le carte a posto" serve un innesco. Che arriva, appunto dal Kazakistan alle 10.15 del 28 maggio. Quella nota - scrive il funzionario - "conferma le ricerche di Ablyazov, indica le false identità utilizzate, rappresenta che la persona è ricercata anche dalla Russia e dall'Ucraina, rende noto che il soggetto possa essere a Roma, sollecita una verifica su un indirizzo in Roma". Un colpo da maestri, non c'è che dire. Ma ora sospetto per tanta sapienza. 
(Fonte)
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2 commenti:

  1. Con interesse ho letto la conferma che è stato usato Ciampino . Possibile che i nostri Servizi non sapessero nujlla

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  2. Il mio pensiero è che molti sapevano e la faccenda era concordata ma speravano che la cosa passasse inosservata e purtroppo per loro invece .... checchè ne dicano con la farsa che oggi hanno presentato al parlamento, garante Letta su probabile suggerimento dell'alto colle.

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