venerdì 12 luglio 2013

Casta, la beffa di Boldrini

La presidente della Camera aveva promesso di ridurre gli stipendi dei dipendenti interni (stenografi da 259 mila euro l'anno e commessi da 8.000 netti al mese). Ieri è arrivata la proposta: tagli complessivi del tre per cento e tutti in pensione prima, perché ogni anno hanno diritto a tantissime ferie e così le smaltiscono
 

 
A Montecitorio doveva scattare l'ora di metter mano alle tasche dei 1.500 dipendenti, trattati finora molto (ma molto) bene dallo Stato, con un tesoretto di circa 238 milioni di euro, scodellato annualmente a commessi e funzionari. 
 
E' stata la presidente Laura Boldrini, insieme all'omologo Piero Grasso, a dare il rintocco ai privilegiati il 19 marzo scorso, a poche ore dall'elezione e al primo Ballarò utile: «Chiederemo sacrifici anche ai dipendenti, perché qui ci sono stipendi molto alti, faremo tutto con la collaborazione dei sindacati», disse. 


Detto, fatto. Il percorso è iniziato ieri con l'incontro fra i sindacati del personale e Marina Sereni, piddina, la vicepresidente di Montecitorio che ha in delega il dossier sulla riduzione dei costi. Ma, forse per non rovinare loro le vacanze estive già prenotate, il suo è stato un discorso talmente soft, da preludere - c'è da scommetterci - al solito elefante che partorirà il topolino.

A distanza siderale da qualunque provvedimento concreto, il testo di Sereni (di cui 'l'Espresso' è entrato in possesso) è tutto un "si vedrà". 


In un lungo preambolo, la Sereni spiega che il suo «Comitato ha lavorato intensamente» e che c'è la «necessità di riformare secondo principi di maggior rigore finanziario un sistema retributivo che appare, nei difficili tempi che stiamo vivendo, ormai non più integralmente (sic) difendibile». Ma subito arriva lo scatto d'orgoglio: «E' opinione del Comitato che non si possa vivere di solo rigore e di soli tagli», anche perché in Parlamento «da troppo tempo ormai si deve convivere con un contesto di continua emergenza che non consente di svolgere serenamente il proprio lavoro». 


Perché allora ridurre i costi? Si tratta «di un'esigenza di tipo politico chiaramente rappresentata in seno al Comitato». Insomma, sono alcuni parlamentari e alcuni gruppi politici che, per convinzione reale o esigenze di consenso, costringono Sereni a chiedere un po' di dieta agli stenografi da 259 mila euro l'anno o ai commessi da 8.000 netti al mese. 

Poi Sereni entra nella carne viva, partendo dalle indennità. A cominciare da quelle "di funzione" fino alle oscure "indennità contrattuali", ma anche "di rischio", "meccanografica" e di "immissione dati" che così come sono «potranno essere mantenute solo a fronte di specifiche ragioni funzionali». Rinviata la spiegazione di quali siano queste ragioni e di come si possano individuare. 


Di eliminarle, tuttavia, non si parla nemmeno. 


Numeri alla mano, e stando alla nota di variazione al bilancio imposta nella precedente legislatura, le indennità costano, in tutto, qualcosa come 15 milioni; anche la eventuale riduzione di metà (come promette Sereni) porterà i costi del personale da 238 a 231, cioè il 3 per cento in meno. 


Un'altra bella grana riguarda quell'adeguamento automatico delle retribuzioni, che fu sospeso fino al 2015 e che, però, prevedeva pure la restituzione a partire dal 2016. Una sorta di una tantum per farsi perdonare il blocco. Qui non ci si può che limitare a «verificare la possibilità di un nuovo accordo che non preveda il recupero delle somme non corrisposte per gli anni 2014 e 2015», rimettendo la palla al buon cuore dei sindacati. 


Nel manualetto delle buone intenzioni vengono prese di mira pure le ferie, rivelando così che in Parlamento hanno un bel gruzzolo di giorni di riposo in più rispetto alla «generalità dei dipendenti pubblici». Da quelle parti, i congedi si decuplicano col passare degli anni e a un certo punto diventano talmente tanti da renderne impossibile l'uso. La soluzione? Accantonare le ferie a fine carriera, in modo da anticipare - nei fatti - la sudata pensione di un bel po' di mesi, con buona pace degli altri lavoratori che dopo la riforma Fornero hanno visto allontanarsi il momento del ritiro. 


Alla fine, gli unici a rimetterci, per così dire, saranno i futuri assunti: sul piatto una riduzione di circa il 20 per cento rispetto alle tabelle stipendiali già in essere. Sempre che sia d'accordo anche il Senato, perché si è stabilito di fare tutto insieme e, a Palazzo Madama, fin qui, non ci pensano neanche a prendere una «decisione definitiva sulle nuove curve». Al massimo, i senatori hanno timidamente «espresso un orientamento a procedere nel senso degli impegni assunti nella scorsa legislatura». 


Voleva, fresca d'elezione, che i cittadini si potessero innamorare delle istituzioni, Laura Boldrini: ma la luna di miele pare (quanto meno) rinviata.
(Fonte)
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