mercoledì 3 luglio 2013

La fabbrica inquina? portiamola in Friuli V.G. ... dove? a Torviscosa, tanto la è già inquinato.

Presadiretta: Caffaro, la fabbrica che ha avvelenato Brescia

L'inchiesta di Presadiretta sull'inquinamento da Pcb nella città lombarda, dove i tumori sono aumentati in maniera esponenziale negli ultimi anni. A produrre il "veleno" era la Caffaro, chiusa a metà anni '80. Nei pressi della fabbrica c'è una scuola, dove agli alunni è proibito andare nel verde



A Brescia c’è una emergenza sanitaria che tutti nascondono e che riguarda direttamente 25mila tra uomini, donne e bambini. Sono gli abitanti della zona che si estende a sud della Caffaro, la fabbrica adesso chiusa che dagli anni trenta fino a metà degli anni 80 ha prodotto migliaia di tonnellate di Pcb (policlorobifenili), al pari della diossina un pericoloso cancerogeno, sversandone centinaia di tonnellate allo stato puro nell’ambiente circostante. 
Coinvolta è tutta la popolazione di Brescia, visto che in 50 anni di continuo inquinamento il Pcb è entrato nella catena alimentare, tramite le verdure, la carne, il latte e anche attraverso l’allattamento materno. Secondo Philippe Grandjean, il più grande studioso delle conseguenze nell’uomo della contaminazione da diossine e Pcb che siamo andati a intervistare a Boston, nella Harvard University dove insegna e fa ricerca, “più della metà del Pcb depositato nel grasso della madre passa al neonato tramite il latte materno”. La vicenda è conosciuta almeno da dieci anni, da quando cioè nel 2002 il sito Caffaro è entrato a far parte ufficialmente dei siti di interesse nazionale individuati dal ministero dell’Ambiente come sito fortemente contaminato da Pcb e quindi da bonificare. Quelli che invece sono nuovi sono i dati sull’insorgenza dei tumori, che questa sera vi mostreremo per la prima volta in Presadiretta.

Sono il risultato di una recente ricerca svolta da Paolo Ricci, epidemiologo della Asl di Mantova che segue il sito Caffaro da quando si è scoperto il grave inquinamento. La ricerca è stata realizzata dall’Istituto superiore di sanità in collaborazione con il Registro nazionale dei tumori, ed è quindi uno studio importante. Finora la Asl di Brescia aveva condotto negli anni studi sulla mortalità per malattie tumorali nella città, a confronto con quella media del nord dell’Italia e per questa strada aveva già registrato un aumento quasi del doppio di tante forme tumorali, ma la particolarità e l’importanza di questo studio è che rende conto della incidenza dei tumori a Brescia, “la mortalità risente della velocità di una popolazione ad ammalarsi ma anche del livello di assistenza mentre l’incidenza ci dice esclusivamente del rischio.

È quindi più puntuale e precisa sul rischio che i cittadini di Brescia hanno di ammalarsi di tumore”, ci spiega Paolo Ricci che ho invitato in trasmissione perché raccontasse quello che ha scoperto. Nella sua ricerca il tumore maligno alla tiroide segna un più 49 per cento di incidenza a Brescia rispetto al Nord Italia, il linfoma non hodgkin più 20 per cento, il tumore al fegato il più 58 per cento, mentre infine il tumore al seno schizza al 26 per cento in più. Secondo Ricci la correlazione tra questa maggiore incidenza e il Pcb è più che probabile, visti i risultati della ricerca scientifica internazionale, ma date anche le incredibili dimensioni dell’inquinamento dei terreni a sud della Caffaro rilevati dai tecnici del ministero dell’Ambiente e dell’Arpa.

Per i dati vale quello che ci ha detto Grandjean quando ci ha raccontato i risultati delle ricerche sugli effetti del Pcb sui quali lavora da più di venti anni : “È ormai provato che il Pcb provoca il cancro, in particolare cancro al seno, tumori del sangue e tumore al fegato. Ma fa anche molto di più: è collegato allo sviluppo del diabete e secondo le nostre ricerche impedisce il corretto sviluppo del cervello dei bambini, i bambini esposti al Pcb hanno capacità cognitive ridotte. Ma abbiamo visto anche che attacca il sistema immunitario del nostro corpo indebolendolo, aprendo la strada a diverse malattie”. Grandjean dà un giudizio senza appello: “Questo tipo di inquinamento va trattato come un serio problema di salute pubblica che richiederebbe una immediata bonifica perché espone la popolazione a malattie mortali”. Per quanto riguarda la dimensione, e l’estensione dell’inquinamento a Brescia, abbiamo ricostruito quartiere per quartiere l’incidenza del Pcb, nei terreni tra le case, nei parchi pubblici, persino vicino alle scuole elementari che i bambini continuano a frequentare.

Che cosa è stato fatto finora? Pochissimo. Un’ordinanza del Comune, in vigore da dieci anni, vieta alle persone che vivono nelle zone contaminate di passare sulle superfici non coperte da asfalto o da cemento, mentre la bonifica non è mai partita perché la Caffaro è una società fallita, una scatola vuota senza soldi e al ministero dell’Ambiente risorse non ce ne sono. Ma soprattutto, tranne pochi comitati, non si è voluto prendere atto di questa situazione, come se l’emergenza sanitaria non esistesse, un silenzio che a Presadiretta vogliamo squarciare.
(Fonte)

A Torviscosa arriva la Caffaro di Brescia

L’azienda, che in Lombardia ha una sessantina di dipendenti, andrebbe a consolidare il polo friulano



TORVISCOSA. La Caffaro di Brescia di trasferisce e Torviscosa. La notizia, rimbalzata come una bomba nella città lombarda, è trapelata anche a Torviscosa, che con questa operazione vedrebbe non solo consolidare il polo chimico, ma rilanciarlo nel contesto mondiale, anche grazie al nuovo impianto cloro soda della Halo Industry che dovrebbe essere realizzato a breve.

L’azienda bresciana dà lavoro a 60 persone, mentre altre 32 sono in cassa in deroga. Caffaro Brescia spa, controllata dalla Società chimica Emilio Fedeli spa di Pisa, guidata da Donato Antonio Todisco, che gestisce un pezzo dell’ex azienda Caffaro (che è anche amministratore delegato di Halo Industry), da quattro anni in amministrazione controllata, stanca di pagare gli enormi costi della gestione ambientale, ha dunque deciso di trasferirsi in Friuli a causa dei costi energetici che si deve sobbarcare, aumentati del 40% negli ultimi 18 mesi.

Oggi il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, incontrerà i vertici dell’azienda per scongiurare questa ipotesi di abbandono del sito bresciano, soprattutto per i problemi ambientali che ci sono.

Le voci, che circolavano già da qualche mese, sono state confermate dallo stesso imprenditore che con un certo rammarico ha affermato di essere desolato: «Abbiamo fatto di tutto per restare, ma se la situazione non cambia saremo costretti a prendere una decisione irreversibile! Certo è che ci siamo sobbarcati costi che non ci spettavano, senza farlo pesare a nessuno», dice riferendosi agli impianti di depurazione dell’acqua installati per arginare il problema dell’inquinamento. Ma la decisione, secondo fondi bresciane, sarebbe già irreversibile.

I costi riguardano il funzionamento delle idrovore che pompano 10 miliardi di litri d’acqua l’anno dalla falda, mantenendola così bassa ed evitando che salga a toccare i veleni dispersi dall’azienda in un secolo di attività, spende circa un milione e mezzo l’anno. Se le pompe smettessero di emungere l’acqua ci sarebbe il rischio di una piccola catastrofe ambientale, visto che la falda salirebbe a toccare gli inquinanti (Pcb, mercurio, solventi clorurati, pesticidi) con un serio rischio anche per la potabilità dell’acquedotto cittadino.

L’azienda intanto resta in attesa di una risposta da parte di una multinazionale statunitense che acquista il cento per cento della produzione dello stabilimento di Brescia prima di prendere una decisione definitiva. Intanto a San Giorgio di Nogaro, voci insistenti del mondo industriale, danno per certo l’acquisto della Europolimeri, principale produttore di polimero del Gruppo 3F Chimica impianti, da parte della finlandese Kemira Oyj. Poco o nulla si sa ancora in merito, ma pare che l’accordo riguardi lo stabilimento di San Giorgio di Nogaro e quello di Sandrigo, e che verrà ratificato dopo le ferie estive.
 (Fonte
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