giovedì 23 maggio 2013

Il prete scomunicato dall'Avvenire

Don Gallo senza Avvenire




Scorro i giornali e penso con un sorriso a don Andrea Gallo che fuma il sigaro in cielo: lì si può fumare quanto ti pare, e non fa male, diceva il mio grande amico Paolo Giuntella che se n’è andato il suo stesso giorno, cinque anni fa. Prima pagina del “Manifesto” (bellissima): «Il padre Nostro», foto del prete di strada con in mano un fazzoletto rosso. “Repubblica”: «Addio a don Gallo, il prete dei dimenticati», editoriale in prima di Vito Mancuso. “La Stampa”: «Ha unito cielo e terra», il ricordo di don Luigi Ciotti (in prima). “Il Fatto quotidiano”: «Grazie Don», e le prime cinque pagine. Arrivo ad “Avvenire”, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana che ama definirsi il giornale dei cattolici italiani e la foto di don Gallo, in prima pagina, non c’è.
L’occhio passa in rassegna i titoli, ecco finalmente la parola Genova, taglio centrale. Oh, bene, è un ricordo di don Gallo? Macchè: «Unioni civili: Genova strappa», informa il foglio dei vescovi. «Nel capoluogo ligure via libera al registro delle coppie di fatto». Ah, ecco, evidentemente era quella la notizia non negoziabile. E la morte del prete ligure? Sfoglia sfoglia bisogna arrivare fino a pagina 13. Taglio basso, accanto ai necrologi. Un pezzo non firmato, un redazionale come si dice, forse erano tutti occupati ieri ad “Avvenire”, quattro agenzie incollate in fretta e furia, con le parole del cardinale Bagnasco e l’avvertenza per l’uso: «Non di rado le sue prese di posizione erano apparse in aperto contrasto con l’insegnamento della Chiesa». Tante volte qualche sprovveduto lettore cascasse nel tranello.

In tutta amicizia: non crede il direttore Marco Tarquinio, ottimo giornalista, di dover spiegare un simile trattamento? Perché oggi la comunità nazionale con Napolitano e i più deboli e intellettuali laici lontanissimi dal cattolicesimo piangono per la morte di un uomo di Chiesa e il giornale della Cei, invece, lo oscura, lo sbatte in tredicesima pagina, una notiziola da nulla che può interessare al massimo una piccola nicchia di fissati? Eppure don Gallo era un prete scomodo, di certo eterodosso per occhi clericali abituati più a decifrare gli equilibri di Curia che ascoltare la brezza leggera della Parola di Dio, ha vissuto la sua obbedienza alla Chiesa in modo conflittuale, ma è sempre rimasto un prete, con la sua tonaca nera di sacerdote all’antica, pre-conciliare cresciuto nella diocesi del cardinale Siri, non ha mai abbandonato la comunione ecclesiale. Era un cristiano, un volto di quella Chiesa povera che invoca ogni giorno nelle sue omelie della messa del mattino papa Francesco, la Chiesa del Magnificat («ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili…») dunque scan

Escludere don Gallo dalla comunità cattolica, o anche solo dalla prima pagina, è più che una gaffe: significa avere la volontà magari inconscia di emettere una sorta di scomunica a mezzo stampa. Per fortuna il cardinale Bagnasco sta tenendo un comportamento molto diverso e celebrerà i funerali del suo prete. Per il resto, sappiamo bene che la storia del cattolicesimo è piena di santi che hanno sofferto le persecuzioni nella loro Chiesa, l’obbligo del silenzio, la cancellazione dalla memoria, salvo poi essere elevati alla gloria degli altari, come si dice, e restare nel cuore dei fedeli e degli esclusi dal mondo, i dannati della terra cui hanno dato voce. Mentre dei loro censori e inquisitori non è rimasta traccia. È successo di recente con l’arcivescovo del Salvador Oscar Romero, di cui dopo decenni di oblio vaticano papa Bergoglio ha riaperto il processo di beatificazione. Succederà anche con don Andrea Gallo che per il popolo in cammino alla ricerca di Dio, in ogni forma, è già un santo. Nonostante “Avvenire”.


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