mercoledì 1 maggio 2013

Fermiamo la carneficina mediatica. Dipende da noi. Ecco chi sono “i mandanti emotivi”



Tutto era pronto nel Castello. I dignitari di corte, in gran pompa, si apprestavano alla grande premiere del film che avrebbe cambiato la vita dei sudditi. Considerando il tipo di spettacolo, un film di cartoni animati, edulcorato e sentimentalistico, prodotto dalla Walt Disney, erano accorsi anche i familiari, coniugi, bambini, tate, parenti prossimi. Nel Regno di Mitomània, il Bel Paese della vecchia Europa, la popolazione in festa si accingeva a presenziare al rito celebrativo. Mamme e padri premurosi avevano portato i figli nelle zone predisposte intorno al Castello, nella speranza di poter carpire, per un colpo di fortuna, il lembo svolazzante di una gonna, l’ombra di un foulard, il risvolto di un doppiopetto firmato in alta uniforme; sarebbe bastato un solo attimo, fuggevole ma sufficiente,  per poter scattare con il cellulare una fotografia da far vedere ai vicini e poter dir loro: c’ero anch’io quel giorno, a corte. Finalmente la sala si riempì, le luci si spensero e il proiettore illuminò, con i titoli di testa, il gigantesco schermo allestito per l’occasione nella Gran Sala d’Armi del Castello.

Ma all’improvviso, accade qualcosa d’insolito, di inconcepibile, di sorprendente.

Invece dei cartoni animati, sullo schermo cominciarono ad apparire delle immagini in bianco e nero e il film per bambini si trasformò in un macabro dramma di Alfred Hitchcock. I bambini si misero a piangere, le giovinette impallidirono, le cortigiane di Mitomània urlarono dallo sdegno, ci furono svenimenti e proteste. Nel regno surreale del paese delle meraviglie, aveva fatto irruzione Madama la Realtà.

E i sudditi del Regno di Mitomània, quantomeno i più sensibili e accorti, si resero conto che, per la prima volta, la consueta farsa si era trasformata in una vera tragedia. Classica.

Ciò che è accaduto davanti a Montecitorio contiene l’elemento fondamentale che definisce la tragedia greca classica per antonomasia, ovverossia la condizione tale per cui non ci sono né buoni nè cattivi (caratteristica del dramma) non sono previsti esiti da burlesque (caratteristica della farsa) né tantomeno allegre battute sporcaccione (funzione della commedia) bensì un teatro in cui la vittima e il carnefice sono entrambi oggetto di compassione, perché non sono l’uno contro l’altro, non sono nemici, né oppositori: sono entrambi oggetto dell’ira degli dei, i quali –perché in lite tra di loro- hanno obnubilato la ragione, appannato l’etica della relazionalità, gettando gli umani in uno stato confusionale di conflittualità permanente violenta, definita, per l’appunto: tragedia.

Noi stiamo vivendo una tragedia. Ed è bene esserne consapevoli per vivere (almeno questo) la liberatoria funzione catartica che la tragedia offre come elemento di evoluzione spirituale, emotiva, psichica.

Perché il carabiniere sofferente in ospedale, oggettivamente una vittima innocente, merita la compassione umana dell’intera cittadinanza.

Ma la merita anche l’attentatore, oggettivamente un carnefice fuori di testa perché disperato, da parte di tutti noi.

Se vogliamo trarne una lezione, imparare una lezione di civiltà e maturare una volta tanto.
Sono entrambi degli angeli, ammanettati dalla perfida catena del disagio sociale che rappresenta la malattia mortale della nostra società.

E’ una tragedia perché ve ne sono tutti i connotati. Quando una vittima sceglie di trasformarsi in carnefice perché vive in un mondo in cui gli hanno insegnato che non esistono né diritti né doveri, né rispetto né compassione, né fedeltà né solidarietà, dove tutte le barriere della tenuta civile del nostro Essere Umani sono state abbattute, allora vuol dire che quel paese è finito in uno scenario classico della tragedia greca: tutto è concesso, la Legge non ha più valore, al concetto di cittadinanza è subentrato quello di sudditanza, la pietas non trova ascolto perché sostituita dall’interesse privato, e chi regna non sa che cosa avvenga nel territorio della realtà perché vive nella surrealtà della vita del Castello.

Si scatenano pertanto le pulsioni primitive e fioriscono gli Iago traditori, gli amletici dubitanti, le Clitennestra deliranti e le Furie e le Erinni cavalcano a cielo aperto, invisibili all’occhio degli umani, mute tessitrici della cappa di depressione sociale che incombe su di noi nascondendoci il sole del Bel Paese che fu.

Si dice che il carnefice era un ludopata, ossessionato dal video poker, un povero disgraziato, privo di elaborati strumenti psico-culturali, travolto da una disperazione esistenziale che poteva essere colmata soltanto aderendo all’invito perentorio che proviene dal Castello, quotidianamente, incessantemente, ogni giorno, centinaia di volte, attraverso la propaganda di Stato del Regno di Mitomània su tutte le reti televisive: “vuoi vincere facile? Allora acquista un gratta evinci” e che introduce, attraverso continui messaggi subliminali, l’altro invito che in realtà è un ordine “vai al bar sottocasa e gioca alle video slot, vai alla sala bingo e punta su un numero” perché tu non hai diritti, non vali nulla come essere umano, non hai accesso al mercato del lavoro, perché al Lavoro è stata sottratta la sua funzione di “Valore Sociale”, non riuscirai mai a ottenere nulla di utile da te stesso, la tua unica e ultima speranza è puntare sull’azzardo cieco che noi, Stato amorevole e paterno, mettiamo a tua disposizione in ogni bar di ogni quartiere, di ogni comune, di ogni città, di ogni provincia, di ogni regione del Gran Regno di Mitomània.

C’è da stupirsi che un evento tragico come quello si sia verificato?

Nelle tragedie non esistono complotti dietrologici, tutto avviene in maniera chiara, perché la tragedia si dipana nel racconto narrativo di quella che definirei “la occulta regia emotiva”, ben più poderosa, perniciosa e diabolica di quella del grande vecchio delle brigate rosse o del terrorismo nero vissuto 40 anni fa.

La copertina e il testo interno del settimanale L’Espresso, laddove si presentava l’immagine di Beppe Grillo come quella di un avido speculatore finanziario che aveva aperto miliardari resort in Costa Rica, dimostratasi subito falsa: quei giornalisti sono i “mandanti emotivi”. Così come lo sono i giornalisti de L’Unità che in prima pagina, solo venti giorni fa, mostravano un’immagine di Grillo e Berlusconi appaiati, sostenendo che si fossero associati per fare il governo. Quei mascalzoni dei hacker che hanno oscenamente violato la discrezione della privacy dell’onorevole Giulia Sarti, senza che nessuno della cupola mediatica abbia osato gridare allo scandalo, neppure da parte dei più alti organi di controllo della magistratura: quelli sono i veri “mandanti emotivi”. Tutti coloro che ogni giorno sulla stampa, su facebook, su twitter, falsificano la realtà, la camuffano, la alterano, e si lanciano in attacchi personali e violenti contro chi la pensa diversamente, al solo fine di ottenere dei contatti pubblicitari o una squallida soddisfazione egoica narcisista, ebbene, tutti questi sono i “mandanti emotivi”. I giornalisti sciacalli in cerca di uno scoop, quelli che sono andati a intervistare il figlio dell’attentatore, e hanno messo sotto pressione un bambino di dieci anni, con una vita difficile già rovinata, tutta in salita, queste vere iene sono “i mandanti emotivi” della sparatoria di Montecitorio.

Tutti i facitori di odio, sono “i mandanti emotivi”.

E valga per tutti la copertina del quotidiano “Il Giornale” che vedete in bacheca: loro sono “i mandanti emotivi”.

I giudici della Corte Costituzionale, nel 2012, hanno bocciato la legittima richiesta da parte del pubblico ministero genovese perché si imponesse alle dodici concessionarie che gestiscono il gioco d’azzardo legale in Italia di pagare la cifra dovuta di 98 miliardi di euro come era stato stabilito, approvato, sentenziato e legiferato nel 2007. Accolto il ricorso da parte degli imputati è stato applicato uno sconto del 98%, la pena pecuniaria ridotta a 2 miliardi. Quei giudici hanno scelto che invece di pagare i 120 miliardi di debiti alle piccole e medie imprese, lo Stato dovesse regalarne 96 agli industriali dell’azzardo legalizzato.  Loro, sono “i mandanti emotivi”.

Come se dentro al Castello, vi sia una strategia accurata, tesa ad ammalare la società, a ottundere il pensiero, a interpretare le responsabilità dell’esecutivo come la consueta variante del Regno di Mitomània, dove l’illusione sostituisce la realtà e va sempre tutto bene e sempre tutto andrà a posto e non c’è di che preoccuparsi.

Dipende da noi, da tutti noi, da tutti i 60 milioni di cittadini, fermare il dipanarsi di questa tragedia. Bisogna cominciare a eliminare i focolai dove alligna il virus.

Il neo ministro Graziano Delrio (uno dei migliori tra i nuovi governanti del regno) è una persona solida, equilibrata, ottimo medico, padre di nove figli, sindaco di Reggio Emilia (fino all’altro ieri) che ha portato quella città al vertice dei comuni virtuosi, segnalato a Bruxelles come uno dei cento comuni più virtuosi d’Europa, primo d’Italia. Costui, circa otto mesi fa, angosciato all’idea di vedere la sua cittadinanza abbrutirsi nei bar affollati da ludopati, si è precipitato nel Comune, ha convocato l’intero consiglio e, con una maggioranza del 90%, ha fatto approvare d’urgenza con “decorrenza immediata” un decreto ingiuntivo che ha imposto ai concessionari del gioco d’azzardo legale di portare via tutte le macchinette, tutti i minicasinò, tutte le sale bingo, fuori dal centro abitato, costituendo una specie di centro giochi per ludopati in aperta campagna, purchè a distanza da dove la gente vuole vivere.

Non è stato dato alcun risalto alla vicenda: zero visibilità.

C’è quindi un precedente: quella è una possibile strada da seguire.

“Voglio tutte le macchinette del gioco d’azzardo fuori dal centro abitato della mia città’ e lo voglio subito: c’è un precedente, l’ha fatto il Ministro Delrio”. Questa è una battaglia immediata che noi 60 milioni di sudditi possiamo fare per porre un argine al dilagare vergognoso di questa piaga sociale che lucra sulla disperazione esistenziale spappolando i cervelli.

L’attentatore è una vittima trasformatasi in carnefice perché il suo cervello dipende ormai da una macchinetta elettronica che gli trasmette gli input, anche se lui non lo sa. Ma lo sappiamo noi. E lo sanno tutti gli abitanti del Castello.

Diamo tutti, subito, una risposta operativa contro la tragedia.

Per ogni video slot di meno, c’è una persona in più che, forse, dico forse, può pensare, ragionare, e quindi ideare, inventare, produrre.

Sveglia cittadini. Facciamo qualcosa subito, insieme, senza faziosità. E se non fate nulla, non lamentatevi poi se un giorno, nel Gran Regno di Mitomània, i consueti burlesque e i cartoni animati proiettati nel Castello, si trasformeranno in tragedie esistenziali vere. Le vostre.
(Fonte)
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